Nel corso del XVIII secolo, Somma vide ulteriormente arricchirsi il suo patrimonio artistico con l’intervento in loco del pittore Angelo Mozzillo. Il tema sarà trattato dallo scrivente in un convegno ad Afragola, terra natia dell’artista.
IL CONVEGNO
Afragola da riscoprire questo è il titolo del convegno che si terrà venerdì 26 maggio 2023 alle ore 17:00 nella sala conferenze della Biblioteca Comunale in via Firenze. Una giornata di studio telematica promossa dall’Associazione Nobis che – come spiega il Dott. Domenico Corcione – riguarda due artisti afragolesi diversi fra loro, ma accomunati dalla varietà di temi e dalla bellezze delle opere che ancora oggi suscitano meraviglia e interesse: Giovan Lorenzo Firello (1510 – 1583), misconosciuta figura dell’arte del secondo Cinquecento nel viceregno spagnolo di Napoli, e Angelo Mozzillo (1736 – 1810 ca.), esponente di quel manierismo barocco, che da anni abbiamo imparato ad apprezzare. Dopo l’indirizzo di saluto della Dott.ssa Maria Grazia Cancello, interverranno, oltre allo scrivente, il Rev. Giuseppe Esposito (G.L. Firello, il pittore ritrovato), il dott. Domenico Corcione (A. Mozzillo, il pittore degli angeli), Dott.ssa Giuseppina Ludi (Il valore della storia locale) e il Prof. Antonio Pannone, sindaco di Afragola.
ANGELO MOZZILLO E LA TERRA DI SOMMA
Il primo contributo artistico del pittore afragolese riguardò da vicino il formidabile cassettonato della Collegiata, realizzato per volontà e con la cospicua donazione di Mons. Tommaso Casillo (1602 – 1679). A riguardo, in quella scultura di Giacomo Colombo (1663 – 1730), la cui doratura fu eseguita da Marc’ Antonio Cangemi, erano inseriti ben quattro dipinti del pittore Pietro de Martino (+ 1736), allievo di Luca Giordano, come attesta un documento dell’ Archivio di Stato di Napoli (ASNA, Notai sec. XVIII, Vito Antonio Mascolo, 27/15, F.241, segg.254 – 46). Ebbene, quel primo intervento, altresì documentato nell’Archivio storico della Collegiata, vide Mozzillo in qualità di restauratore delle quattro tele. Trattasi di un atto di quietanza del 18 settembre del 1780 con il quale il pittore dichiarava il saldo del pagamento, per un totale di 70 ducati, pattuito per il compimento della sua opera nella Collegiata.

La lettura del documento, tuttavia, non solo ci restituisce la notizia dell’intervento di restauro delle tele, ma anche una sicura assegnazione degli affreschi che costituiscono l’intero ciclo decorativo della cappella di San Gennaro nella medesima chiesa. Nella somma citata in ducati, infatti, vi era anche la realizzazione di due quadri a fresco ed altri ornamenti nella seconda cappella a destra del santo protettore. Innanzitutto, spiega lo storico d’arte Rosario Pinto, emerge da quelle carte ingiallite una spiccata personalità del Mozzillo come quella di un perfetto conoscitore dell’arte pittorica, particolarmente versato in tutte le conoscenze tecniche, capace di produrre autorevolmente un delicato intervento di restauro, che presupponeva conoscenze e sapienze tecniche. Il settecentesco atto archivistico, quindi, testimonia, ufficialmente, che la cappella di San Gennaro è interamente affrescata dal Mozzillo. Oltretutto, risulta ovvio che dell’espressivo repertorio barocco di Somma Vesuviana, la nostra particolare attenzione occorre riservarla, in modo appropriato, all’Insigne Collegiata.

Il ciclo pittorico, comunque, che adorna la cappella, la seconda a destra, presenta una decorazione articolata in un progetto unitario, con due raffigurazioni del santo titolare: due grandi pannelli pittorici, entrambi cm 146 x 184, posti sulle corrispettive pareti laterali. A destra troviamo la scena di San Gennaro che ferma la lava, mentre a sinistra San Gennaro che protegge Somma. Nell’intradosso della volta, a partire dal registro superiore rispetto alle due figurazioni ianuariane, si dispiegano a monocromo, le figure delle quattro virtù cardinali: Prudenza con una coppia di colombi; Fortezza con un leone; Giustizia con una bilancia; Temperanza, infine, con l’ancora. Esse sono incorniciate da una profilatura policroma che simula un intaglio e terminano verso il centro della volta occupato dalla raffigurazione dell’Eterno Padre circondato da Serafini e Cherubini. Bisogna subito chiarire che, alla data del 1780, il Mozzillo aveva appena finito di dipingere (1779) l’impegnativo tema della Presentazione di Maria al Tempio nella Chiesa dell’Immacolata di Nola. Si può, quindi parlare, all’epoca, di un artista pienamente affermato nel contesto nolano – vesuviano, che l’artista privilegiò come campo d’azione della sua attività. L’opera sommese, certamente, va inscritta in quella stagione culturale che vide il Mozzillo raggiungere una sua piena e matura cifra espressiva con la quale – continua il prof. Rosario Pinto – saprà dare un tratto di spiccata originalità alla sua opera.

Per quanto riguarda, invece, l’attribuzione al Mozzillo degli affreschi dell’ipogeo della Confraternita della Morte, bisogna far riferimento alle relative fonti storiche e al contributo che il pittore seppe offrire in relazione al profondo aspetto filantropico della committenza nobiliare. La Compagnia della Morte, nata il primo gennaio del 1650 per opera della nobiltà napoletana e locale, non solo aveva lo scopo originario di seppellire i morti in miseria, ma anche di infervorare la pietà dei fedeli al suffragio delle anime del Purgatorio. In un documento del 1730, conservato sempre nell’Archivio della Collegiata, viene riportata la notizia riguardante il locale sotterraneo – concesso dal Capitolo della Collegiata al sodalizio nel 1699 – diventato inconcruo et inabile alle esigenze. A quella data si potrebbero far risalire i primi lavori di risanamento dell’ipogeo. Successivamente, nell’ ambito di quei lavori di ristrutturazione, anni dopo dovette nascere l’esigenza di avvalersi di un artista pienamente affermato nell’agro nolano e già operante nella Collegiata per affrescare quel luogo. E questo appieno – continua il prof. Bove – è il caso di Angelo Mozzillo a Somma.

I numerosi valori stilistico – formali che si sono riscontrati nella decorazione pittorica della cappella di San Gennaro, sono invero espressi anche negli affreschi della cripta confraternale, appartenenti cioè a quell’ambito fecondo di quella scuola, venutasi a formare nella provincia napoletana nel tardo ‘700. Gli affreschi in questione andrebbero ad infoltire il pur ricco catalogo delle opere del Mozzillo, pur senza essere suffragate da alcuna fonte storica. Con ciò, conclude il prof. Bove, non s’intende certamente arrivare all’attribuzione al pittore afragolese, ma due sono le considerazioni che fanno pensare a ciò: a) il confronto tra il riquadro de la Morte mieta vittime nell’ipogeo e il citato San Gennaro ferma la lava che consente di rilevare una significativa somiglianza nell’aspetto formale; b) la stessa tecnica del monocromo, tanto congeniale al nostro pittore, applicata sia nella cappella di San Gennaro che negli affreschi dell’ipogeo.

Bisogna aggiungere, infine, che Angelo Mozzillo non solo fornì la sua opera per la committenza religiosa, ma la sua personalità entrò anche in quel giro di pittori che sapevano solleticare i nuovi gusti della classe nobiliare emergente, ondeggiando disinvoltamente tra decorazione rococò e nuovi metodi neoclassici. E’ il caso delle scomparse decorazioni parietali in stile neoclassico degli ambienti interni del Palazzo Cito al Trivio (vedi foto coll. prof. R. D’Avino) che, come sembra, dovrebbero appartenere sicuramente al pittore di Afragola.
