L’ impegno costruttivo e imprenditoriale profuso a Somma e nel vesuviano dagli ordini religiosi emerge con persistenza nei secoli passati, in quanto si esplica sia nella gestione di svariati possedimenti locali, sia nel continuo incremento edilizio di fabbriche e strutture annesse.
L’ Ordine certosino, in latino Ordo cartusiensis, è uno dei più rigorosi ordini monastici della Chiesa cattolica. L’istituto fu fondato nel 1084 da San Bruno di Colonia (ca. 1030 + 1101) e sei compagni nella valle del deserto di Chartreuse, un luogo isolato totalmente disabitato nella Regione francese di Alvernia – Rodano – Alpi (Isère), con la creazione di un primo monastero. Il motto dell’ordine è Stat Crux dum volvitur orbis, ovvero la Croce resta salda mentre il mondo gira. Il monogramma certosino, è caratterizzato dalla combinazione delle prime lettere della parola Cartusia, il luogo dove fu edificata la prima certosa. La lettera 𝗖 incardina al suo interno la lettera 𝗔 e la lettera 𝗥 che, stilizzate si fondono su di un asse centrale, il quale è una 𝗧 che nella parte superiore forma una croce latina.
Nella certosa di San Martino, il simbolo CAR – visibile in svariati punti significativi ove è impresso su legno, su marmo, su pietra, su ferro – subisce leggere variazioni nel corso dei secoli. In ultimo, infatti, il monogramma Cartusia viene sormontato da una corona, e la certosa stessa viene definita real certosa [P.L. Ciapparelli – F. Delizia]. Il simbolo, oltretutto, si ripeterà ovunque nei possedimenti e nei monasteri certosini.

L’ impegno costruttivo e imprenditoriale profuso a Somma e nel vesuviano dagli ordini religiosi emerge con persistenza nei secoli passati, in quanto si esplica sia nella gestione si svariati possedimenti locali, sia nel continuo incremento edilizio di fabbriche e strutture annesse. Imponenti erano le proprietà e le relative gestioni delle realtà agricole da parte della certosa di San Martino tra il XVI ed il XVIII secolo.
Costruita a partire dal 1325, rimane uno dei più grandi complessi monumentali, vero gioiello dell’architettura napoletana e arte barocca dopo i vari ampliamenti e le numerose decorazioni del XVII e XVIII secolo. Le grangie o grancie certosine, in particolare, furono delle vere e proprie masserie, in cui i religiosi lavoravano, dormivano, mangiavano e pregavano, quindi con la presenza di un dormitorio, un refettorio ed una cappella. Le grange principali, comunque, erano dislocate principalmente in diversi territori come Aversa, Casacelle, Pianura, Marano, Orsolone (Napoli), Nola e Somma.

Il librone catastale del 1744 della Terra di Somma, conservato nell’Archivio storico municipale, ci svela a pag. 1039t che la Real Certosa possedeva numerosi territori e masserie, in particolare una casa, seu granciam, con giardino contiguo nella strada detta del Trio, in Plathea detto lo burgo, giusta li beni degl’Eredi del q(uonda)m Niccolò della Lama, e due vie publiche, quale casa con detto giardino serve per comodo de religiosi della Grancia di detta Certosa tiene in questa Città. L’insediamento dei Padri Certosini, afferma il dott. Domenico Russo, risale al X secolo, citando Fabrizio Capitello [Raccolta di reali registri…, 1705, pag. 16]: notizia del tutto sbagliata, in quanto l’Ordine fu fondato nel 1084 e la Reale Certosa di San Martino non esisteva ancora. Il sito online Vesuvioweb in un lavoro di ricerca dal titolo Somma Vesuviana Antropologia, tradizoni popolari e storia attesta che i Padri Certosini sono presenti a Somma già nel 1331. Certamente tra il XIV e il XV secolo iniziarono a proliferare ovunque grange sotto l’osservanza dell’ordine cistercense. I certosini di San Martino, in particolare, ebbero a loro disposizione le case fortificate di Somma Versuviana [cit. A. Feniello in Archeologia dei Castelli nell’Europa Angioina (secoli XIII – XV), 2011]. A riguardo, una casa in questione non è altro che lo splendido Palazzo del Principe in piazza Vittorio Emanuele III. In origine la grancia interna era una vera e propria struttura produttiva e, a tal riguardo, i Certosini indirizzarono quasi tutta l’attività economica verso la coltivazione dell’uva e nella produzione del vino. L’ intensificazione della coltura della vigna fu l’elemento centrale dell’ economia nel Napoletano, con la creazione di grandi agglomerazioni produttive legate tra loro da una folta rete di centri e di infrastrutture. La grancia di S. Martino possedeva inoltre, tra i suoi beni una masseria con ottocento pecore gentili, quali pascolano cioè l’inverno quando in detta masseria, e quando in altro luogo e l’esta(te) nella montagna d’ Apruzzo (Abruzzo), delle quali pecore sia pagarsene la Regia Dogana[…]. La struttura disponeva, infine, di due muli, un somaro ed un cavallo per comodo del fratello capo o magister granciere. Il dott. Domenico Russo, appassionato storico di Somma, ha sempre definito questo palazzo la costruzione più importante dell’intera città. La struttura è articolata su tre ali interne ed un lungo corpo principale cha va da via San Pietro fino alla cupa di San Giorgio [cfr. D. Russo, Il Palazzo del Principe in Summana n°3, 20].

Dalla parte esterna di questa casa vi erano numerosi bassi e camere, dai quali i religiosi ricavavano determinati affitti; cioè dalla parte chiamata San Giorgio annui ducati 47 e dalla parte detta di San Pietro annui ducati novanta. Nel 1799, con le spoliazioni napoleoniche e le leggi di soppressione degli ordini religiosi, tra cui quello dei Padri Certosini, vi fu l’incameramento dei beni ecclesiastici sia artistici che monumentali. Nel 1804, la Giunta e Deputazione degli Apodissari, creata con l’editto del 18 agosto 1803, vendette la casa palaziata alla 7^ principessa di Gerace, Maria Antonia Oliva Grimaldi (1758 – 1833), che sposò in prime nozze, nel 1777, Giovan Battista I Serra (1742 – 1787) e in seconde nozze, nel 1789, Pasquale Serra (1757 – 1839). La cappella della grancia nel 1744 disponeva del beneficio sotto il titolo di San Sebastiano. A riguardo, pagava la somma di ducati 25 al Beneficiato Calefato di Nola. L’antica cappella di San Sebastiano una volta era situata con la parte superiore davanti il portone della Casa di detta Grancia e, poi, fu fatta diroccare prima del 1699 dal Vescovo di Nola per far spazio alla casa religiosa [ASN, notai del XVII secolo, Notaio Pietro Ugliano, per gentile concessione del dott. Attilio Giordano]. Fu fatta una richiesta dall’Università di Somma alla Sacra Congregazione Episcoporum et Regularium Alm(a)e Urbis Rom(a)e per poterla riedificare, ma la risposta non ebbe esito. Il beneficio della Cappella di San Sebastiano passò, dapprima, ai Padri Certosini e poi alla Parrocchia di San Giorgio Martire.

Nella stessa località Trivio vi era anche il possesso di un ospizio di case consistente in più e diversi membri giusta li beni dell’Università. I censi su giardini, selve, boschi e diversi territori vitati, arbustati e fruttati, comunque, facevano parte di quel complesso sistema di rendite della Real Certosa. Tra le località più antiche di Somma, quasi del tutto scomparse dalla toponomastica cittadina, ricordiamo:
Calvania, pezzo di territorio di moggia sedici vitato e fruttato, annui ducati 141 se li corrispondono da Domenico ed Arcangelo Salierno ;
Spirito Santo, moggia quattro di territorio vitato e fruttato, annui ducati 37,5 se li corrispondono da Andrea Coppola;
Lo Gaudiello, pezzo di territorio di moggia tre vitato e fruttato, annui ducati 10 se li corrispondono da Gennaro Raja;
Tropiano, moggia due e mezzo di territorio con un poco di bosco nel monte, annui ducati 22 se li corrispondono da Francesco di Monna ;
S.Maria a Castello, un poco di territorio, annui carlini 6 se li corrispondono da Vincenzo Fasulo;
Lo Palmentiello, un pezzo di territorio con selva seu Bosco di moggia dieci, annui ducati 40 se li corrispondono da Antonio Secondulfo e fratelli;
Lo Toretto, moggia 2 di territorio vitato e fruttato, annui ducati 10 se li corrispondono da Nicola Majone ;
L’ orto di San Lorenzo, giardino vitato e fruttato, annui ducati 5 se li corrispondono dall’ Ill.mo Marchese di Petruro;
Cupa di San Giorgio, giardinetto di mezzo moggia, vitato e fruttato, annui carlini 31 se li corrispondono da Domenico Russo;
Numerosi furono i possedimenti territoriali e i terreni, che avevano coltivazioni sia di uva, per la produzione di vino, che di numerosi alberi da frutto:
Ragalia, pezzo di territorio di moggia 72 incirca, arbustato e vitato confinante con li beni dei PP. Teresiani, del Principe di Cimitile e del Pio Monte della Misericordia;
Il Caprio (zona tra Pigno, Malatesta e via Colle), terreno di moggia venti arbustato e vitato, confinante con li beni dell’ Ill.mo Principe di Frascio e via publica;
Masseria nova (zona tra la ex fungaia di De Siervo e la masseria Serpente), territorio di moggia 46 giusta li beni dell’ Ill.mo Pri(nci)pe di Frascio, D. Gius(epp)e de Laurentiis, ed altri confini;
Il Capitolo, territorio di moggia 10 arbustato e vitato, g(iust)a li beni di D. Giacinto Orsino, gli eredi del fu d. Antonio Felingiero ed altri confini. Entrò, successivamente, in possesso del Ill.mo Principe di Francavilla d. Michele Imperiali (?);
Avignana, territorio di moggia 24 arbustato e vitato, giusta li beni dei monasteri di San Marcellino e S. Agostino di Napoli. Entrò, successivamente, in possesso di d. Michelangelo Cianciulli da Montella, consigliere di Stato e Ministro di Giustizia sotto Giuseppe Bonaparte;
Travella, territorio di moggia 23 arbustato e vitato giusta li beni della SS. Annunziata di Napoli, San Domenico di Somma, e via publica;
Confini di S. Anastasia; territorio di moggia 7, arbustato e vitato, giusta li beni delli Cuomi, e di Pietro Esposito e via publica;
Travagniello, territorio di moggia 4 incirca, arbustato e vitato, giusta li beni de fratelli di Lopez e li beni del m(agnifi)co d. Antonio Abignente;
La Piana, territorio di moggia sette incirca, giusta li beni dei Sig(no)ri Felingieri e due vie publiche.
Un altro possedimento importante, a conclusione, era la masseria, nominata il Bosco, con casa, cellaro, palmento e tutte le comodità, confinante con li beni di San Severino e S. Marcellino di Napoli, via pubblica ed altri confini. Dopo i Certosini, la proprietà passò, dapprima, alla principessa di Gerace e, successivamente, tra il 1829 e il 1837, alla notabile famiglia De Siervo di Lagonegro, impiantata a Napoli agli inizi del Settecento. A riguardo, nel 1829 è riportata la cappella al Bosco dei principi di Gerace e pochi anni dopo, nel 1837, nella stessa località l’appartenenza al nuovo proprietario d. Francesco de Siervo. Il Dott. Russo dedusse queste notizie dopo essersi confrontato sia con le inedite notizie dello storico Alberto Angrisani sulle Sante Visite ecclesiastiche, sia con G. Riccio nel suo libro dal titolo Descrizione ed illustrazione degli ornamenti di una donna romana, Napoli 1883. Il Bosco di S. Martino, all’ incirca 270 moggia, era un territorio meraviglioso in parte arbustato e vitato, in parte bosco selvaggio, dove si faceva carbone, e in parte castagneto da far spalatoni. Della parte arbustata e vitata, vi erano 25 moggia all’ incirca incolte, vallonate e di poco frutto. Ogni anno, comunque, la Real Certosa pagava alla Certosa di San Lorenzo di Padula per causa di censo sopra il castagneto della masseria del Bosco ducati trecento e tarì 4. Vi era, infine, anche il possesso di un cavallo, utilizzato dai religiosi del posto.