Spesso i quadri antichi italiani, commissionati soprattutto da religiosi, hanno come soggetto molteplici figure di santi. I loro costumi e i loro attributi per poterli riconoscere possono originare numerosi equivoci. E’ il caso del dipinto di S. Giovanni a Patmos nella parrocchia di S. Maria di Costantinopoli.
Nel 1998, nell’antica parrocchia di S. Maria di Costantinopoli di Somma Vesuviana, furono restaurate due tele, che ventotto anni prima erano abbandonate in un piccolo locale accanto alla sagrestia. Un dipinto raffigura la Madonna del Carmine fra San Gennaro e un santo francescano e un’altra esaltava, secondo gli studi dell’epoca, la mistica figura di S. Giovanni a Patmos. Quest’ultima tela, tuttavia, cm 105 x 140, si presentava, al momento della consegna al restauratore Pio Della Volpe, in cattive condizioni con tagli, tela allentata, cornice marcia e perdita di pellicola in diversi punti con evidenziamento del reticolo sottostante, come afferma il dott. Domenico Russo in un suo articolo. A riguardo, la scheda 15/0961 del 1972 della Sovrintendenza alle Gallerie della Campania attesta nell’oggetto: Dipinto – S. Giovanni a Patmo. In epoca romana, solo per ricordare, Patmo era un luogo d’esilio, in cui secondo la tradizione l’evangelista Giovanni avrebbe scritto il libro dell’Apocalisse ed in cui egli avrebbe avuto le sue visioni. Lo stesso librone, raffigurato nel dipinto in questione, che forse avrebbe generato l’equivoco iniziale dell’attribuzione al giovane apostolo.
La scheda del 1972 – redatta da Renato Ruotolo, già bibliotecario e archivista dell’ Accademia di Belle Arti in Napoli – attesta, inoltre, che l’olio su tela di autore ignoto era del tardo ‘600. Una pittura mediocre, comunque, che all’epoca del ritrovamento metteva in risalto il santo seduto, con lo sguardo fisso verso un piccolo crocifisso, posto alla sinistra di chi guarda, in una visione ambientale, che potrebbe essere una grotta o il chiuso di un gruppo di alberi. Tutta la scena – continua Russo – è dominata da un impasto cromatico che lascia poco spazio alla luce, che comunque non è tangente, ma piatta e frontale. Una descrizione, questa, che permise di comprendere come l’opera, dal punto di vista pittorico, provenisse da un ignoto artista non solo della scuola del pittore Jusepe de Ribera (1591 – 1652), attivo principalmente a Napoli, ma verosimilmente abbia preso metodologia, ispirazione e colori da un suo probabile allievo di nome Bartolomeo Passante o Bassante (1618 – 1648). Ribera, certamente, fu uno dei massimi protagonisti della pittura europea del XVII secolo ed uno dei più rilevanti pittori che seguirono il filone del caravaggismo.
Tutto sembrava procedere per il verso giusto nell’analisi pittorica del dipinto, fino a quando, nel 1999, ad un anno dalla pubblicazione dell’articolo del dott. Domenico Russo sulla rivista Summana n° 43, iniziarono a insinuarsi tra gli studiosi le prime perplessità sul riconoscimento del soggetto del dipinto: non più San Giovanni a Patmos, ma Maria Maddalena Penitente. La Maddalena è un personaggio da sempre molto presente in pittura e in scultura, una delle immagini sacre più amate dall’arte italiana ed europea. La sua figura ha ispirato artisti di tutti i tempi e numerose sono le opere di pitture. Una santa che ha esercitato, inoltre, un grande fascino sull’immaginario collettivo. Non è un caso che l’iconografia c’è la presenta come la penitente dai lunghi capelli, ritirata in preghiera, con in mano un libro (spesso un teschio o uno specchio). Nel quadro in questione la mano destra è sul libro, mentre la sinistra fa perno su una pietra a mo’ di colonna sulla quale si scarica il peso dell’intero corpo. Quest’ultima posizione è simile alla Maddalena penitente (vedi foto) del pittore Alessandro Allori (1535 – 1607), sopranominato il Bronzino.
Resta il fatto che la rappresentazione della Maddalena penitente ed eremita avrà particolare fortuna a partire dal Cinquecento. E’ ritratta spesso con accanto un vaso di mirra. Lo stesso vaso che troviamo dipinto in basso alla destra di chi guarda l’opera. La mirra fu utilizzata, come unguento, dalla peccatrice per profumare i piedi di Gesù. Il libro, simbolo di Conoscenza, non è altro che il Vangelo apocrifo di Maria Maddalena. In quel libro vi erano le rivelazioni che Gesù fece alla donna su certe conoscenze speciali, superiori e misteriche. Il crocifisso, infine, simboleggia la sua presenza ai piedi della croce durante la crocifissione di Gesù sul Golgota. Insomma, il dipinto, in mostra nella sagrestia della nuova chiesa di S. M. Costantinopoli, esalta Maria Maddalena e non San Giovanni a Patmos, grazie a questi quattro attributi iconografici: il vaso con la mirra, il libro, la croce, a cui si aggiunge la grotta di Sainte Baume nel Sud della Francia, dove la Maddalena si recò per vivere nella contemplazione di Dio per circa 30 anni.