Peppino Mazzotta, che è l’ispettore Fazio nei romanzi del Commissario Montalbano, ha scritto recentemente, con Igor Esposito, un romanzo, “L’azzardo”, ambientato a Mantova, nel mondo degli scommettitori. Uno dei personaggi parla delle virtù e delle “pretese” della “falanghina”, un vino difficile, ma il più adatto ad accompagnare il riso ai frutti di mare.
Ingredienti: riso Roma 250gr., 100gr.gamberetti, 20g. burro, 3 cucchiai di olio di semi di mais, pomodori ramati, cozze 350gr., 250gr.vongole, brodo vegetale 4dl., ½ cipolla, aglio, sale, prezzemolo, Lavate bene le cozze ed eliminate per ognuna di esse il bisso tirandolo semplicemente con le mani. Quindi mettete le vongole in acqua salata di modo che possano perdere la sabbia. Fate aprire i molluschi in una pentola con un cucchiaio di olio in cui avrete precedentemente fatto rosolare uno spicchio di aglio. Intanto sgusciate i gamberetti e fateli saltare con del burro, del pepe e del sale in una padella a parte. In una casseruola da forno soffriggete nell’olio rimasto la cipolla tritata finemente. Versate il riso e fatelo tostare, unite i pomodori e bagnate con tutto il brodo vegetale bollente. Mescolate bene, coprite la casseruola con un foglio di carta oleata e cuocete il riso in forno a 200 °C per una quindicina di minuti. Intanto sgusciate cozze e vongole. Appena pronto mescolate al riso i molluschi ed i gamberetti. Versate il composto in uno stampo con i bordi apribili, unto d’olio. Rimettete nuovamente nel forno caldo per qualche minuto ancora. Dopo di che sformate il riso e servite ancora caldo. (La ricetta e l’immagine: dal sito “Buonissimo”).
Alcuni personaggi del romanzo di Mazzotta-Fazio si incontrano in un ristorante di Mantova che non ha concorrenti nella preparazione dei piatti di pesce, e che si chiama, giustamente, “La Bella Napoli”. Nel menù ha anche il vino adatto ai piatti di mare, la falanghina, ma uno dei personaggi invita gli amici a non prenderla, questa falanghina, perché non è buona,” sa di ruggine “. E che un ristorante così importante e così particolare non abbia una falanghina decente e porti in tavola una falanghina che sa di ruggine sapete che significa? Significa, sentenzia il personaggio, che siamo in decadenza totale. Del resto, “a Roma il 90% dei ministri è corrotto, e il 10% non sa leggere”. La falanghina si chiama così perché “falanga” era il palo su cui si appoggiavano i tralci della vite. “Questo vino è un’enciclopedia di note e di sentori: frutta a buccia rossa, come la mela annurca, tabacco biondo, noce moscata, melograno, nocciola, felce: e perciò è capace di tutto, questo vino, di esprimere guizzanti sapori in bocca e di suggerire al naso morbidi aromi. Era fatale che diventasse un vino di prima fila, soprattutto perché è disponibile ad accordarsi con i complessi piatti a base di pesce e a collegare in una saporosa armonia tutti gli ingredienti: crostacei, ostriche, carpacci di gamberi, vongole in bianco, timballi di riso alle cozze, risotti al nero di seppia. Duttile e raffinato: il miracolo dell’equilibrio in un carattere complicato.” Questo scrissi in un libro pubblicato dieci anni fa. Nel 1880 un raffinato enologo, il dott. G. Imperato, aveva notato che la falanghina pretende botti sue proprie, non accetta di essere conservata o trasportata in botti che hanno già contenuto altri vini: se non viene rispettata questa sua pretesa, la falanghina si snatura, e si innesta in essa un “sentore ferroso” che urta il gusto. Questa corruzione metallica colpiva anche la falanghina conservata in botti nuove che erano state riempite di acqua di mare. Ancora alla fine dell’’800 i contadini vesuviani avevano l’abitudine di trasportare le botti nuove in riva al mare, di riempirle di acqua salsa e di svuotarle solo dopo alcuni giorni: erano tutti persuasi che questa pratica producesse, scrive il dott. G. Imperato, “un forte restringimento ed una esatta connessione tra le doghe, in maniera che si perde molto meno vino”: ma i vini a contatto con i segni del sale modificavano il loro aroma, e la falanghina si snaturava.
(fonte foto: Buonissimo.it)