Una riflessione sui fatti di Parigi e su quanto occorre fare per poter “uscire dal dramma”, senza lasciarsi sopraffare dalla paura che, come ha detto il Papa in Kenia, non fa altro che alimentare il terrorismo.
Dopo quello che è successo a Parigi abbiamo un po’ tutti più paura. Vedo molte persone ancora scosse e molto turbate. E’ umano. Anche per l’ “assalto” sull’avvenimento da parte dei mass-media. Ma facendo così, rendiamocene conto, facciamo il gioco dei terroristi. La domanda che ci facciamo tutti è questa: come uscircene dal dramma? Quali strade intraprendere? Quella della violenza e della guerra? Quella culturale e del dialogo? Non è facile la risposta. Ma io penso che la risposta al terrorismo passa anche dalla revisione di un modello di sviluppo che genera povertà ed emarginazione. Non a caso il Papa in Kenia ha detto che “la paura e la povertà fanno crescere il terrorismo”. Quel terrorismo che vincerà ancora se cambia le nostre abitudini e distoglie le democrazie occidentali dall’agenda che avevano prima degli attentati di Parigi. Un’agenda che si proponeva di progredire sul fronte della lotta a disoccupazione e povertà, e che deve affrontare la drammatica sfida della sostenibilità ambientale (proprio a Parigi tra qualche giorno) e che lotta ogni giorno nel nostro Paese contro i problemi delle inefficienze e della corruzione. Non bisogna assolutamente abbandonare questa agenda, pena nefaste conseguenze. E’ vero che in giro c’è tanta paura, ma bisogna dire onestamente che la probabilità di morire per un attacco terroristico è di gran lunga inferiore a quella di essere vittima di un incidente aereo, casalingo o stradale. Quello che sta accadendo oggi è uno scontro di civiltà. Bisogna anche dire che il fascino che l’integralismo esercita anche presso molti dei giovani che vivono nelle banlieue deve farci capire che stiamo usando paradigmi sbagliati per leggere la realtà. Non è più possibile, anche per noi, pensare che la felicità dipenda unicamente dalla crescita del proprio benessere economico. L’uomo è soprattutto un cercatore di senso. E, allora, dobbiamo interrogarci se il mondo che abbiamo costruito, un mondo che produce moltissimi poveri ed esclusi, che umilia la dimensione per noi più importante, quella del lavoro, subordinandola alle esigenze dei consumatori e degli azionisti, non produca troppi “poveri di senso”. A nessuno di coloro che vivono una minima ricchezza di senso (qualità della vita di relazioni, prospettive professionali, benessere economico, valori spirituali e religiosi sani, soddisfazione nelle dimensioni di gratuità e fraternità) verrebbe mai in mente di distruggere la propria vita e quella degli altri. Ma è molto probabile che una minoranza anche molto piccola tra le centinaia di migliaia di disperati(giovani) venga lusingata da un’ideologia nefasta e totalizzante che improvvisamente risponde a quella domanda di senso che spesso “da noi” viene negata.
Alla sfida del fascino dell’integralismo violento per i tanti diseredati dei nostri sistemi economici si risponde anche aumentando la ricchezza di senso delle nostre civiltà . Oltre a tutte le misure di sicurezza e difesa , pur necessarie, se la nostra civiltà e la nostra cultura vogliono togliere acqua ai fondamentalismi e ai terrorismi devono principalmente curare questa malattia . Bisogna dire con forza, soprattutto da parte di noi cristiani, che la violenza genera altre violenze, lutti, rancori e desideri di vendetta. Sarà necessario, allora, continuare a costruire le fondamenta di una civiltà ricca di senso e di fraternità universale per lasciare un futuro migliore ai nostri figli. Con le guerre non si va da nessuna parte. La storia ce lo ha insegnato. Cerchiamo altre strade, facendo anche noi occidentali , un esame di coscienza. Qualche colpa è anche nostra, per quanto sta accadendo.
(Fonte foto: Rete internet)