Paolo Borsellino, un motto napoletano e le orazioni di Cicerone contro Verre

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Anche quest’anno alcuni aspetti della commemorazione di Paolo Borsellino hanno svolto la solita funzione “distrattiva”: ma non sono pochi gli Italiani che ancora una volta hanno chiesto la verità sui massacri di mafia. Una verità che il “sistema” nasconde senza incertezze e senza cedimenti: saranno mai svelate le verità su Borsellino, su Falcone, su Moro?

 

Non è un numero qualsiasi, il 30: perciò gli artisti della retorica pubblica e di quella privata, nel celebrare con fiotti di chiacchiere il trentesimo anniversario del massacro di via D’Amelio, in cui morirono Paolo Borsellino e cinque membri della sua scorta, hanno cercato di superare i livelli degli anni precedenti. Temo che ci siano riusciti: la TV pubblica ha dato fugace notizia delle dichiarazioni dei parenti del giudice, che aspettano ancora la verità, come l’aspettano non pochi Italiani, e non solo su Borsellino, ma anche su Falcone, su Moro e su altri misteri. Negli ultimi quaranta anni, a partire dall’assassinio di Aldo Moro, si sono succeduti governi di vario colore, Presidenti e ministri di varia taglia, sono scomparsi partiti e movimenti e altri ne sono nati, ma certe verità sono rimaste segrete: un intangibile tabù, difeso forse da trecce di incantesimi e di maledizioni: e dunque sarebbe lecito domandarci quali sono gli apparati e i sistemi che governano realmente l’Italia e cosa li rende così impenetrabili, saldi, inattaccabili. Mi sono ricordato di un motto napoletano: “articolo quinto, chi tene mmano, chillo ha vinto”, e l’ho tradotto, non proprio fedelmente, con l’immagine del cocchiere che guida il carro come e dove lui vuole, perché stringe tra le mani le redini. Il caso ha poi voluto costringermi, proprio ieri, a rileggere le orazioni di Cicerone contro Verre, e a considerare quanto sia antica questa regola, che vince chi tiene in mano le redini. Nel 70 a.C. i Siciliani accusano di concussione, di furti e di corruzione Gaio Licinio Verre, che dal 73 al 71 ha governato la provincia come propretore e ha commesso una serie di reati che, a ben vedere, lo rendono un “mito”per certi politici di oggi. L’accusato si affida al più quotato avvocato del momento, Quinto Ortensio Ortalo, mentre i Siciliani si rivolgono a Marco Tullio Cicerone.Ortensio, candidato al consolato per il 69, accetta di difendere Verre per difendere il “sistema” senatorio che poi deve votarlo. Il 27 luglio del 70 vengono eletti consoli per il 69 Ortensio e Quinto Metello, amico di Verre. L’esito delle votazioni viene interpretato come una garanzia per l’assoluzione dell’imputato. Mentre una grande folla accompagna a casa Ortensio, Gaio Scribonio Curione vede Verre nel corteo, va ad abbracciarlo, gli “ordina” di non essere più preoccupato e gli “comunica” che “grazie al voto di oggi tu sei stato assolto”. Confidando nella potenza di questo “sistema” senatorio Ortensio tenta la giocata spettacolare: induce Quinto Cecilio Nigro, che era stato questore in Sicilia agli ordini di Verre, di richiedere l’incarico di accusatore: se ci fosse riuscito, Cecilio sarebbe stato, per Verre e per Ortensio, non un avversario, ma un alleato obbediente e rispettoso. Ma Cicerone con uno strepitoso discorso demolisce Cecilio, gli dice pubblicamente che i Siciliani non lo vogliono come accusatore di Verre, sanno che egli è “un uomo di paglia” al servizio di Ortensio: “di me egli deve aver paura, e non poca; di te, invece, non si preoccupa affatto”. Ortensio viene sconfitto, e Cicerone è l’accusatore legittimo di Verre, ma non solo di Verre, bensì anche del tribunale “senatorio”. Egli scopre le sue carte da subito, e apre il primo discorso contro l’accusato ricordando ai giudici che non solo tra i Romani, ma anche tra i popoli stranieri “ha messo radici un’opinione rovinosa per il nostro Stato e pericolosa per voi, cioè che da tribunali come quelli attuali nessun uomo facoltoso, per quanto colpevole, potrebbe mai uscire condannato.. In questo processo voi emetterete la sentenza sul colpevole, il popolo romano emetterà la sentenza su di voi. Attraverso questo imputato si stabilirà definitivamente se un tribunale composto da senatori è capace di condannare un imputato colpevolissimo, ma ricchissimo”. Ortensio si ritirò e Verre partì subito per l’esilio: li sconvolse non la quantità delle solide prove dei reati del propretore che Cicerone aveva raccolto in Sicilia, ma la certezza che il “sistema” stava cambiando, che il partito senatorio non controllava più le “redini” del carro. Quale “sistema” ci svelerà la verità su Borsellino, su Falcone e su Moro?

(FONTE FOTO: RETE INTERNET)