Ottaviano: San Michele, mettici la mano tua (quella che ti è rimasta)

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Il busto di San Michele, opera dello scultore Domenico Sepe, installato recentemente a Ottaviano, ha suscitato vigorose polemiche, perché il Santo non ha il braccio destro e, dunque, nemmeno la spada che nell’iconografia consolidata Egli impugna nella mano destra. Le spiegazioni fornite dallo scultore non mi hanno convinto, e del resto mi sembra che siano in netto contrasto con alcuni principi dell’ “iconografia del sacro” (E. Panofsky).

Qui non sono in discussione i princìpi dell’arte dello scultore, né la sua perizia tecnica che è significativa. Qui si tenta solo di capire quali sono le ragioni che hanno suggerito il particolare “disegno” del busto di San Michele, privo del braccio destro e della spada. Ha scritto il Sepe sul suo sito “facebook : “ L’opera è rappresentata come un ritrovamento archeologico quindi non volutamente mancante dei simboli principali del santo ma ritrovata nel 2023.Metaforicamente visto che la spada e il diavolo non sono presenti noi spettatori ci sostituiamo ad entrambi i simboli e diventiamo parte integrante dell’opera.La spada simbolo di forza oggi potrebbe esser rappresenta dal nostro impegno civico verso l’illegalità.Il diavolo simbolo del male sostituito dal marcio della nostra società spesso espresso pienamente sui social.L’opera non è priva degli elementi ma sono mancanti metaforicamente a causa del tempo passato dalle prime effigi medievali, rinascimentali ed ottocentesche. Questa è un’opera d’arte del nostro tempo non una statua ma una scultura.”. Dunque, se ho capito bene, lo scultore dice in conclusione che il “busto” non è una statua, non rappresenta una figura ben precisa, ma è una scultura del nostro tempo, è la rappresentazione concreta di un’immagine nuova e totalmente libera.  Ma questo contraddice la proposizione iniziale, che invita a considerare l’opera come un ritrovamento archeologico: e ancora più seria è la manifesta contraddizione con la parte centrale del passo, in cui lo scultore ammette che la scultura rappresenta San Michele e spiega “l’assenza” del braccio, della spada e del diavolo come una metafora a rovescio: è la società che svolge i compiti e le funzioni degli “elementi” assenti. E’ un tipo di ragionamento che la sintassi delle arti figurative non consente di condividere, sia a livello formale che nella prospettiva sostanziale. Chi potrebbe interpretare i compiti della spada? E chi dovrebbe fare il “diavolo”? Sul piano della concretezza dell’arte che significa dire che noi “spettatori ci sostituiamo ai simboli”? Se siamo spettatori cosa ci consente di essere anche protagonisti, di sostituirci a un braccio e a una spada? San Michele ha mai parlato di questa sostituzione? Ricordo, infine, allo scultore che lui ha partecipato a una manifestazione in cui la comunità di Ottaviano, le autorità politiche e quelle religiose si aspettavano di vedere, nel busto, la figura del Patrono: lo prometteva anche il manifesto ufficiale, il cui testo lo scultore ha certamente condiviso. Era presente anche il parroco della Chiesa di San Michele.

Mi dicono che lo scultore ha dichiarato di non aver messo la spada in mano a San Michele perché l’arma gli sembrava un inno alla violenza: e il Santo, invece, è simbolo della giustizia.

E’ violenza scaraventare gli angeli ribelli, i diavoli, tra le fiamme dell’Inferno? Dunque, anche Dio, che ha dato l’ordine all’ Arcangelo, è un violento? L’artista dovrebbe sapere che gli studiosi hanno visto nella spada il simbolo concreto, “tangibile”, del raggio della Luce di Verità, che permette a San Michele di separare nettamente il Bene dal Male: e qualche pittore ha disegnato lo strumento non come una spada, ma come un raggio. Infine, Panofsky, Kirschbaum, Van De Waal hanno ricordato a tutti che l’iconografia consolidata dei Santi non può essere modificata negli aspetti essenziali, perché questi permettono all’osservatore di capire immediatamente l’identità del personaggio raffigurato. E questo vale anche per i personaggi del mito e per alcuni personaggi storici.

Nella chiesa di San Pietro in Banchi a Genova c’è il “Cristo senza mani”, una statua in gesso che era stata abbandonata nello studio di un anonimo scultore e le cui mani si erano staccate dalle braccia fortuitamente . I restauratori decisero di non ricostruire le mani, sollecitati dai versi di un carme fiammingo del sec.XV: “Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre mani, per fare oggi le sue opere”. Ma è evidente che il Cristo mutilato di Genova rappresenta una situazione chiara e rispettosa dei ruoli: gli uomini devono fare con le proprie mani le opere che Cristo ha indicato e indica, le “sue” opere. E questo principio ha caratterizzato fin dal primo momento la predicazione di Gesù.