Quasi ogni giorno la stessa storia: file interminabili all’esterno degli uffici postali, con la pioggia e con il sole, e chi ha avuto la lungimiranza di prenotare un ticket online vive ogni volta l’avventura di doversi fare spazio tra la folla e sentirsi quasi in colpa per dover sopravanzare tutti e avvicinarsi al citofono dove bussare all’orario concordato.
Come se non bastasse arrivano anche le critiche di chi vive quel “passare avanti” come un privilegio e una mancanza di rispetto. Eppure tutti i cittadini hanno l’opportunità di fissare un appuntamento – come caldamente suggerito da Poste Italiane – prenotando un ticket online, ma non tutti colgono l’occasione e finiscono col trascorrere lungo tempo in coda, ovviamente rischiando l’esasperazione. Ma non solo. Sì, perché la pandemia è ancora strisciante e quello che si viene a creare all’esterno degli uffici postali è a tutti gli effetti un pericoloso assembramento: il rischio, paradossalmente, aumenta proprio per quelli che hanno la prenotazione e devono spezzare la fila, inerpicandosi alla ricerca del citofono al quale presentarsi. Tutto questo a strettissimo contratto con le persone in attesa, quelle che entrano, quelle che escono e quelle che si recano al Bancoposta: un turbinio sviluppato nei pochissimi metri quadrati a disposizione.
Senza parlare del fatto che l’ufficio centrale della città, quello sito in via Roma (dal quale, spesso, la fila arriva quasi fino a Corso Umberto I), non ha nemmeno una pensilina e costringe i cittadini a stare sul piccolo e malridotto marciapiede, senza riparo dal solleone estivo o dalla pioggia invernale. Sarebbe davvero il caso di ripensare lo spazio dove adibire il futuro (ma non troppo) ufficio postale.
Tornando alla questione dei prenotati vs “quelli in attesa per strada”, onde evitare malumori, alterchi, conflitti e disagi di sorta, sarebbe forse il caso di attivare una campagna di informazione e di assistenza ai cittadini, al fine di accompagnare chi vive qualche difficoltà digitale (e magari non lo ammette) a risolvere le proprie lacune e avvicinarsi, così facendo, alle semplici ma preziose opportunità offerte dalla tecnologia. Un’azione di formazione che potrebbe essere messa in campo dal Comune di Marigliano, magari proprio in sinergia con le Poste, oppure con qualche associazione di promozione sociale: si potrebbero organizzare dei brevi corsi di avvicinamento al digitale per la pubblica utilità, iniziando proprio da come si prenota un ticket online, spiegando ragionevolmente perché sarebbe utile farlo.
Un invito che mi permetto di girare alla prof.ssa Irene Sorgente, il cui Assessorato alla Pubblica Istruzione, Edilizia Scolastica, Formazione, Cultura, Politiche Giovanili e Legalità ha da poco aperto i battenti su Facebook con la comunicazione istituzionale: un approccio che potrebbe incentivare l’idea di venire incontro ai cittadini con inserti divulgativi che, per il momento, potrebbero essere sviluppati anche a distanza, tramite supporti audiovisivi.
Fare comunità significa anche mettere a proprio agio i cittadini, senza scatenare “guerre tra poveri” (utenti della pubblica amministrazione), senza aizzarli gli uni contro gli altri, piuttosto alimentando la consapevolezza che utilizzare gli strumenti a disposizione può aiutare tutti, ma senza nascondere il fatto che qualcosa che si ignora può sempre essere imparato, magari grazie all’aiuto degli altri. Perché, con le parole della Fondazione Mondo Digitale, parlare oggi di inclusione digitale “non significa semplicemente dotare ragazzi e adulti delle capacità informatiche basilari, ma diffondere a tutti i livelli una cultura dell’innovazione che abbia come obiettivi, a livello individuale, lo sviluppo integrale della persona, il protagonismo nel lavoro e la cittadinanza piena e, a livello sociale, la lotta alla marginalità, lo sviluppo comunitario e l’elaborazione di risposte sistemiche alle sfide contemporanee”.
Affinché accada bisogna saper lavorare per una società democratica del sapere, in cui i benefici che provengono da conoscenze, nuove tecnologie e innovazione siano a vantaggio di tutti senza alcun tipo di discriminazione.
Il futuro chiama fin dal nome roboante del nuovo anno appena iniziato: duemilaventuno. Un’educazione per la vita (che verrà) richiede forse, ancora una volta, più assistenza e meno assistenzialismo.
(Foto dal web)