L’arte servì a produrre “ritratti di infamia” e Andrea del Castagno fu Andrea degli “Impiccati”

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Tra il Duecento e il Cinquecento ci fu, soprattutto in Emilia e in Toscana, l’usanza di dipingere sulle facciate degli edifici pubblici i “ritratti” di coloro che erano stati condannati per reati politici (tradimento, sedizione, brigantaggio) o per reati finanziari (bancarotta e appropriazione indebita). Il comportamento di due grandi pittori, Andrea del Castagno e Andrea del Sarto.

 

E’ stato notato che nel caso di colpevoli fuggiaschi il “ritratto di infamia” poteva servire anche come documento di riconoscimento, ma è chiaro che questa pratica serviva non solo a rendere nota a tutti l’infamia del colpevole, ma anche a coinvolgere nella colpa e nella vergogna l’intera famiglia e tutti i parenti. La nera luce dei “ritratti di infamia” faceva paura, per molti motivi, anche ai pittori, che cercavano in ogni modo di evitare incarichi connessi a questa forma di pittura. Nel 1292 le autorità fiorentine dovettero fare la voce grossa per convincere Fino di Tedaldo a dipingere gli autori del tentativo di rapina alla Cassa della Camere del Comune e scrive Vasari che anche Maso di Stefano, detto Giottino, dovette essere precettato perché dipingesse l’immagine di Gualtieri di Brienne, duca di Atene, che il 26 luglio del 1343 venne cacciato da Firenze. Nel 1440 Andrea del Castagno, che aveva allora solo diciannove anni, ebbe l’incarico di dipingere sulla facciata del Palazzo del Podestà i ritratti degli Albrizzi e dei loro seguaci, colpevoli di aver tradito la bandiera di Firenze durante la battaglia di Anghiari: e da quel momento in poi egli divenne” Andreino degli Impiccati”. “Vasari fece derivare il soprannome di Andrea dai ritratti dei Pazzi dopo la congiura del 1478, mentre quei ritratti  furono opera di Botticelli che dipinse i tre traditori appesi per i piedi” (D.Freedberg).Nel 1530 il compito di fare “ritratti di infamia” venne assegnato ad Andrea del Sarto, il quale accettò a condizione che gli amministratori di Firenze gli consentissero di dare l’incarico di eseguire i dipinti a un suo “garzone”, Bernardo del Buda: non voleva diventare anche lui un “Andreino degli Impiccati”, come Andrea del Castagno. Inoltre egli coprì con una impalcatura lo spazio in cui doveva raffigurare gli “infami”, insomma, dice Vasari, fece “una turata grande, dove egli stesso entrava e usciva di notte e condusse quelle figure di maniera che parevano coloro stessi vivi e naturali”. Sono sopravvissuti i disegni che Andrea del Sarto preparò per quei dipinti (vedi l’immagine che apre l’articolo) ed è probabile che di notte si recasse a dipingere le immagini proprio Bernardo del Buda, copiando i disegni del Maestro. Nessuno di questi “ritratti di infamia “ è giunto fino a noi, poiché, voluti dal potere politico, vennero cancellati quando le strutture del potere si rovesciarono e mutarono. Vasari ci dice che i “ritratti” eseguiti da Andrea del Sarto e dal suo allievo vennero cancellati con dense e ampie pennellate di bianco pochi anni dopo che erano stati dipinti. “I ritratti” dipinti da Andrea del Castagno vennero cancellati nel 1494 quando Piero, figlio di Lorenzo il Magnifico, venne cacciato da Firenze: i nuovi governanti vollero riabilitare gli antichi avversari della famiglia de’ Medici. Poiché i “ritratti dell’infamia” erano accompagnati da iscrizioni che indicavano i nomi e i cognomi dei colpevoli raffigurati quasi sempre a testa in giù e appesi per un piede, alla fine del ‘400 anche i fiorentini incominciarono a dar ragione ai milanesi, che già un secolo prima avevano cancellato tutte le immagini “infamanti” perché esse facevano ricadere lo scandalo e il disonore non solo sui veri colpevoli – vili notai e mercanti e cambiavalute falsari – ma sull’intera cittadinanza, soprattutto “agli occhi dei viaggiatori”. Dovremmo parlare ora dell’”executio in effigie”, delle punizioni realmente eseguite su immagini dei condannati, ma dedicheremo al tema, che ha caratteri di attualità, un articolo a parte.