Ci sono tante storie che vengono raccontate dai familiari dei pazienti che si trovano negli ospedali sotto osservazione per aver contratto il covid-19, altre storie le conosciamo grazie ad amici di amici, altre ancora da medici o infermieri che lavorano giorno e notte.
Quella che vogliamo raccontare oggi è la storia di una donna, una paziente dell’Ospedale Cotugno di Napoli, che è riuscita a parlare della propria esperienza facendo uscire la sua voce dalle quattro mura di una stanza bianca, scrivendo ogni dettaglio, raccontando ogni sguardo, trasmettendo tutta l’emozione possibile, seppure solo attraverso una chat. Ricoverata qualche tempo fa in gravi condizioni, la donna è stata subito munita di casco respiratorio, entrando quasi in una bolla, in un mondo parallelo che solo chi ha vissuto può spiegare. Sono tante le persone che parlano dell’eccellenza del Cotugno, della professionalità del personale e del sacrificio che queste persone portano avanti con onore, se a raccontarlo però è una persona che ha parlato con questi medici, che ha guardato negli occhi questi medici e che ha trovato in loro una vera e propria salvezza, allora non possiamo far altro che portare avanti la testimonianza di una storia struggente e al tempo stesso estremamente toccante.
Si parla spesso di malasanità, di storie maledette, di pazienti che vengono lasciati a loro stessi e dell’incompetenza del personale, ma non si parla mai di ciò che realmente questi professionisti fanno per dare anche solo un po’ di conforto ai malati. Muniti dalla testa ai piedi di tipo di dispositivo di protezione, a metà turno escono dal cosiddetto ‘percorso sporco’, tolgono tutte le attrezzature e le protezioni, fanno una doccia per poi subito rivestirsi con camici e tute pulite per iniziare il turno nel ‘percorso pulito’. Tante precauzioni, tanta stanchezza, lo stress è percepibile anche se solo dagli occhi, giornate infernali che durano ormai da otto mesi, eppure non si è mai sentita una singola lamentela. Anzi è attraverso uno sguardo, una parola di sostegno, un sorriso che non si vede attraverso la mascherina ma lo si percepisce dagli occhi luminosi, è attraverso i piccoli gesti quotidiani, le premure che medici e infermieri cercano di trasmettere a chi crede di non farcela, di non avere più speranze. -“Ogni giorno che passa è una vittoria”- è così che si esprime la paziente, una vittoria di squadra, l’ennesimo traguardo raggiunto mano nella mano con chi la assisteste da tempo. Perché si è soli ma in realtà nessuno lo è davvero, un pasto caldo portato col sorriso speranzoso di chi non si è ancora arreso, di chi sa che la situazione potrebbe degenerare da un momento all’altro ma che sa anche che bisogna avere fiducia nel prossimo, avere fede e credere in qualcosa di più grande. Il rosario recitato in collegamento tutti insieme, preghiere per i medici che salvano, che piangono, che provano, che si ammalano e che spesso non ce la fanno.
-“Stamattina ho chiesto l’età alla ragazza che mi fa i prelievi, quasi 27 mi ha detto, una bambina, una figlia mia”-.
Aspettare che la carica virale si abbassi non è semplice, ci vuole tempo e spesso chi si ritrova in un letto d’ospedale supportato da ossigenazione o qualsiasi altro strumento tecnico non riesce ad avere la pazienza necessaria,proprio non la trova ed è per questo che i medici e gli infermieri sono considerati degli angeli, dei guerrieri. -“Mi fido dei medici, sono dei professionisti: scrupolosi, preoccupati ma anche molto incoraggianti”- persone come noi che spesso vengono contagiati, che stanno male esattamente come noi e che, quando tutto passa, non ci pensano un attimo a ritornare in corsia e darsi da fare ancora e ancora. La procedura per essere ricoverati è molto lunga, le file al pronto soccorso sono lunghissime -“io ho aspettato un giorno intero entrando solo la sera ma i sanitari ci assistevano all’esterno in continuazione, misuravano temperatura e saturazione, andavano avanti e indietro per non tralasciare niente e nessuno. Non ci hanno mai abbandonati.”- Una testimonianza toccante, che non può non far riflettere. Sentiamo lamentele da parte dei cittadini per la lentezza dei sanitari, dei medici, degli infermieri e di tutti coloro che stanno affrontando questa situazione in prima linea trovandosi faccia a faccia con il virus e con le tragiche cause che spesso quest’ultimo porta.
Per una volta, però, si potrebbe dire grazie o, se proprio non si ha una parola positiva, semplicemente non dire nulla, restare in silenzio oppure addirittura si potrebbe sorridere perché spesso le parole non possono nulla ma un sorriso può arrivare dove tutto il resto non riesce.
(Fonte foto: rete internet)