“L’olio su cartone” (cm.100 x cm.70) fu portato a termine dal pittore nel 1934 e venne donato ai Musei Vaticani nel 1977, due anni dopo la morte di Pirandello, dalla vedova. Il tema della “Crocifissione”, trattato anche in altri quadri, è un momento significativo in quella “strada dello strappo” che Fausto percorse “per sfuggire alle tenaglie del padre Luigi” (Giuseppe Appella). Perché ho deciso di commentare questo quadro.
Fausto Pirandello “attraversò” le più importanti correnti artistiche del Novecento, cercando di superare l’astrattismo puro in nome di un realismo che fosse lontano dalle accademie. Nell’ultima fase la sua visione del mondo e la sua percezione dei colori e delle forme inducono a pensare al postcubismo, a Francis Bacon e a Lucien Freud. Ma il “dramma” quotidiano di Fausto fu il rapporto “culturale” con il padre: egli voleva essere sé stesso, e sottrarsi all’influenza di Luigi: e per realizzare il progetto, egli percorse, tra dubbi e incertezze, quella che Giuseppe Appella chiamò “la strada dello strappo”. Ma del rapporto tra il grande padre e il grande figlio parleremo ampiamente in un prossimo articolo. Il pittore prende rumorosamente le distanze dalla tradizionale impostazione della scena della Crocifissione facendo sì che i tre crocifissi non siano rivolti verso l’osservatore, ma verso l’interno, e, soprattutto, collocando Cristo in secondo piano. Indefiniti sono gli spazi in cui sono piantate le croci: sarebbero spazi propri di una pittura astratta, se dietro la croce di Cristo non ci fosse una figura umana. Le tre croci sono orientate verso lo sfondo, lungo una linea obliqua, che allontana la scena dallo sguardo dello spettatore. I curatori delle Collezioni d’arte contemporanea del Vaticano definiscono questa Crocifissione stralunata e angosciosa: spiegano lo “stralunata” sottolineando l’incrociarsi delle prospettive e l’”angosciosa” con la torsione dei corpi, con la mancanza di riferimenti alla storia dell’evento e alla divinità di Gesù Cristo, e con l’abilità dell’artista nel rendere “estraneo” lo spettatore, nel tenerlo lontano dalla scena. Questa “estraneità” viene compensata in parte con il fatto che il punto di vista principale del quadro è molto alto rispetto alle rocce che fanno da base alle croci: perciò lo spettatore “sente” di trovarsi alla stessa altezza degli uomini crocifissi: ma non credo che abbia ragione chi ritiene che questo elemento aiuti lo spettatore a partecipare alla sofferenza dei crocifissi; al contrario, egli nota ancora più chiaramente che Il Cristo dipinto da Pirandello non vince la morte, non è il Salvatore del mondo, non è il Figlio di Dio. E’ un uomo ucciso dagli uomini tra atroci sofferenze. Per capire “lo strappo” rappresentato da questo quadro basta confrontarlo con le “Crocifissioni” di Raffaello, di Tintoretto, di Rubens (immagine in appendice). Pirandello ha usato per i corpi i colori ocra, giallo e arancio, che erano i colori prediletti dalla Scuola Romana a cui egli aderì nella prima fase della sua attività: sono i colori della luce, ma il pittore li raffredda mettendoli a confronto con ampie e dense pennellate di verde e di azzurro. Questa angosciosa Crocifissione mi sembra adatta a “muovere” la nostra riflessione in una Pasqua in cui i fuochi di artificio e i segni della speranza devono confrontarsi con i fuochi delle bombe e dei missili e con le immagini delle stragi quotidiane che i mezzi di comunicazione di massa ci forniscono ogni giorno.