Tra il 1943 e il 1945, in tutto il paese, migliaia di inermi cittadini furono vittime del potere nazista e fascista. Nell’articolo seguente, il prof. Luigi Verolino di Ponticelli, storico e saggista, ci fornisce in una sua intervista un’attenta ricostruzione storica sui tragici avvenimenti accaduti a Napoli e nella plaga vesuviana negli ultimi giorni di settembre e i primi di ottobre del 1943, in cui gli inermi cittadini furono oggetto di violenze, rapine e omicidi.
Luigi Verolino, storico e saggista, è impegnato da anni tra archivi pubblici e privati alla ricerca di documenti che testimoniano il passato della sua terra tra il sociale e il religioso. Ha pubblicato numerosi contributi su Ponticelli tra cui: Le strade di Ponticelli, 1993, 2000; L’istituto Emanuele De Cillis di Ponticelli. L’Istruzione Agraria nella Provincia di Napoli, 2006; Storia di Ponticelli. Dalle origini al XVI secolo, 2014; Le Società di Mutuo Soccorso – Area Orientale di Napoli, 2019; La Banda musicale di Ponticelli. 2014 e così via. Pubblica quotidianamente sul suo profilo Facebook tante curiosità storiche, che documentano la grande ricchezza del nostro passato. Tra i fondatori dell’ associazione Il Quartiere Ponticelli, centro di studi storico-sociali e di attività culturali, ha collaborato con Giorgio Mancini, Padre Giovanni Alagi, Andrea D’Angelo, Rosalia Gigliano, Antonio Borrelli, Giancarlo Piccolo, Giuseppe Improta, Umberto Scognamiglio e Antonio Guizzaro.
Prof. Luigi Verolino, che cosa avvenne l’ 8 settembre del 1943?
“Alle 17,30 dell’8 settembre del 1943, a poco più di tre anni dall’entrata in guerra dell’Italia, la radio londinese BBC annunciava al mondo la resa incondizionata del nostro Paese. La fuga del re e di Badoglio a Brindisi, il collasso e la dissoluzione dell’esercito consegnarono l’Italia nelle mani dei nazisti, che avevano preparato da tempo il piano di occupazione. Per diversi giorni, in più località, i reparti del nostro esercito, spesso aiutati da civili, opposero una disperata resistenza ai tedeschi. Anche a Napoli si sparò in varie parti della città. Furono uccisi fra domenica e lunedì, oltre i militari, ventisette napoletani e 185 furono i feriti. Malgrado questi tentativi di resistenza, la città fu ben presto occupata militarmente, e il 12 settembre il generale nazista Walter Scholl impose il coprifuoco e lo stato di assedio”.
Che scenario si presentò nella periferia di Napoli?
“Non solo il centro cittadino, ma anche la periferia orientale fu sottoposta a saccheggi, rapine e violenze gratuite. A San Giovanni a Teduccio, l’11 settembre, fu ucciso da militari tedeschi Giacobbe Donnarumma, mentre dal 13 settembre la Scuola Pratica di Agricoltura di via Argine a Ponticelli fu, più volte, sottoposta a razzie, durante le quali furono asportati vari generi alimentari, un pianoforte, un grammofono, un microscopio, tavoli e diversi utensili da cucina. Il 14 settembre, invece, fu uccisa a Barra Giovanna Gestiero di 19 anni. Un clima intimidatorio e repressivo che venne aggravato dal decreto del servizio obbligatorio al lavoro, emanato dal Prefetto Domenico Soprano. Tutti gli uomini, nati dal 1910 al 1925, avrebbero dovuto presentarsi nelle rispettive sezioni comunali per essere inviati nei campi di lavoro in Germania. A Ponticelli nessuno si presentò e, ben prima della scadenza indicata, iniziò la caccia all’uomo. I tedeschi cominciarono ad effettuare rastrellamenti di strada in strada, di casa in casa. Immediatamente partì una sorta di gara della solidarietà per nascondere gli uomini dalle razzie. Il 26 settembre, le perlustrazioni portarono alla cattura di una decina di giovani, che furono trascinati vicino alla sede fascista al piano terra della sede municipale. A via San Rocco, un giovane venne inseguito da un soldato, ma, nel tentativo di scavalcare un muro, fu raggiunto; mentre stava per essere catturato, intervenne il giovane Pasquale Ferrara, sbucato all’improvviso da un cortile, che nella colluttazione colpì il tedesco con un pugnale, facendo subito dopo perdere le tracce. Immediatamente intervennero in forze altri militari, che a stento riuscirono a trasportare il ferito in piazza. Dai terrazzi, dai balconi e dalle finestre della strada, infatti, fu lanciato di tutto contro i tedeschi”.
La situazione, quindi, si faceva sempre più drammatica?
“Nella stessa giornata, i nazisti continuarono nelle rapine e razzie anche in altre parti della zona orientale e nei Comuni vesuviani: a San Giovanni a Teduccio ci fu, inoltre, un Saccheggio ad opera di militari tedeschi in danno della ditta S.A. Luigi Caflisch & C., mentre la cittadina di S. Sebastiano al Vesuvio fu completamente bruciata a partire dal 26 fino al 28 settembre. Un reparto di guastatori, guidato dal segretario del fascio locale, minò e distrusse edifici pubblici e case private; cinque contadini furono uccisi davanti alle loro case, molti furono deportati in Germania”.
Come si organizzò il partigianato locale?
“Tra le zone che maggiormente si distinsero nella resistenza all’occupazione nazista, Ponticelli rappresentò un esempio di pianificazione di difesa del territorio davvero emblematica. La lotta nel quartiere la lotta contro i tedeschi aveva assunto il carattere di una vera rivolta popolare.
A Ponticelli, come a via Salvator Rosa ed al Vomero, vi furono i combattimenti più sanguinosi dell’insurrezione. Dopo alcuni giorni di duri scontri i partigiani, organizzati in diverse squadre e comandati dal Maggiore dell’ Esercito Francesco Casu, residente a Ponticelli, liberarono il centro storico del quartiere, presidiandolo militarmente. Il 29 settembre i tedeschi cercarono di riprendere il controllo del territorio con l’invio di truppe da Napoli, coadiuvate da diversi carri armati. Gli scontri nel centro storico causarono la morte di sette persone mentre su via Ottaviano, a seguito dell’uccisione di alcuni militari tedeschi, la feroce reazione nazista si perpetrò nei confronti della popolazione civile con altre trenta esecuzioni. I combattimenti furono così violenti che Radio Londra, a tarda sera, annunciò: Nel quartiere di Ponticelli, in Napoli, si combatte strada per strada, casa per casa, balcone per balcone, decine e decine di morti tra la popolazione civile”.
Cosa sortì l’arrivo degli alleati a Napoli?
“Alle prime luci dell’alba del 30 settembre, il generale Walter Scholl e le sue truppe iniziarono ad abbandonare la città. La fuga dell’esercito tedesco si attuò anche lungo le direttrici di via Argine e via Ottaviano, dopo aver trattato una tregua e il libero transito con i partigiani di Ponticelli. La ritirata durò per l’intera giornata, ma fu funestata da altri episodi di violenza nei confronti dei cittadini dei comuni vesuviani.
A Cercola, infatti, Giuseppe Filignani, residente a S. Sebastiano al Vesuvio, fu ferito alle gambe da militari tedeschi. Tutte le grandi arterie di comunicazione che portavano verso il casertano erano intasate dai camion e dalle truppe tedesche, che, lungo il percorso, cercavano di radere al suolo gli obiettivi civili più importanti: tralicci, stazioni, industrie, ponti e abitazioni. Anche la via Nazionale delle Puglie fu usata per la fuga.
A Casalnuovo, i contadini impedirono che i tedeschi raggiungessero la stazione ferroviaria per distruggerla, minando un ponte che saltò al passaggio dei guastatori germanici. Intanto a Ponticelli le avanguardie alleate arrivarono nella mattinata del 1° ottobre, verso le 9, ancora prima che nel centro della città. Sulla direttrice vesuviana, il 1° ottobre, Somma Vesuviana venne attraversata dalle truppe in ritirata che non tardarono a lasciare un luttuoso segno del loro passaggio”.
Delle drammatiche ore di Somma Vesuviana ha fissato qualche appunto?
“Dai processi verbali rilevati al Tribunale Militare di Napoli, è possibile rivivere quelle drammatiche ore attraverso la testimonianza diretta dei cittadini sommesi che avevano assistito a quegli episodi. Interessante la parte introduttiva degli interrogatori eseguiti dai Carabinieri: Il 1° ottobre 1943, all’avvicinarsi dell’esercito liberatore Anglo Americani, la soldataglia tedesca si abbandonò in questo Comune (Somma Vesuviana) ad atti di inaudito terrorismo, distruggendo con la dinamite e con l’incendio quei beni patrimoniali che rappresentavano il frutto di tanti stenti di non pochi cittadini che rimasero senza tetto e nella desolazione. La distruzione di molti alloggi, contrassegnati con della vernice nera dai tedeschi, è documentata in una testimonianza dell’allora dodicenne Lorenzo Aliperta (per gli amici Lorenzino) che abitava nei pressi dell’incrocio tra via Carmine, via Annunziata e via S. Croce al Triale. Munito di uno straccio bagnato, il dodicenne si precipitò verso la casa macchiata per cancellare quel segno che sapeva essere di distruzione. Un tedesco, armato di fucile, scese da un camion sopraggiunto improvvisamente, e gli puntò il fucile contro. Fu un interminabile momento. Ma come per incanto, un’altra voce tonante, asciutta, ruppe quel silenzio agghiacciante, pronunciando al tedesco parole incomprensibili in un primo momento. Dopo pochi minuti una forte esplosione squarciò l’aria; la casa che Lorenzino voleva salvare fu rasa al suolo. Il giorno successivo si apprese che quel prete (il canonico De Stefano Umberto) che abitava nelle immediate vicinanze, aveva gridato in lingua tedesca: lasciate stare, è un ragazzo. Ben peggiori, invece, furono le conseguenze per altri cittadini sommesi. In via Roma, in via S. Pietro e via Casaraia furono trucidate tre persone: Muoio Michele, Giannoli Ciro e Granato Luisa. Due invece furono i feriti: Ciro De Luca in Piazza Tre Novembre e Giovanni Di Guido in via S. Pietro nella proprietà Di Lorenzo.
Uccisioni e ferimenti senza alcun motivo nei confronti di inermi cittadini che sancirono drammaticamente la fine di un periodo caratterizzato da un uso sistematico e selvaggio della violenza”.