Nel momento in cui si sperava in una tregua, il fuoco è divampato nuovamente nel Parco Nazionale del Vesuvio.
Complice l’arsura, scopriamo però che, anche stavolta, le fiamme portano alla luce piccole e grandi discariche, frutto di una cecità e talvolta un’omertà decennali ma soprattutto il forte sospetto che dietro questi incendi possa esserci anche la mano di qualcuno.
L’ultimo rogo si è sprigionato nel primo pomeriggio di ieri, in via Vesuvio ad Ercolano, la via che all’altezza della cosiddetta Siesta si congiunge con la Provinciale e che scende ripida verso Torre del Greco, là dove diviene via Enrico De Nicola. La Strada è panoramica e a tratti offre quanto di meglio il Golfo possa offrire ma anche quanto di peggio offriamo noi vesuviani, trasformando questo angolo di paradiso in una discarica.
Il luogo dove presumibilmente si è innescato l’incendio è a monte del Don Orione, dove la bella pineta è stata completamente arsa e dove il fuoco ha lambito non poche abitazioni. Il contesto è stato dei più toccanti, il vedere le persone con le pompe da giardino e con i secchi di plastica arginare il fuoco ti fa capire a volte la precarietà in cui spesso veniamo a trovarci. Più giù i vigili del fuoco e la Protezione Civile di Ercolano erano invece impegnati nel grande spazio incolto prossimo alla pineta, luogo posto sotto sequestro e pieno di rifiuti d’ogni genere. La colonna di fumo che da lì si sprigionava era tanto nera e densa che a tratti oscurava il sole e visibile a chilometri di distanza.
I vigili del fuoco hanno dovuto sfondare il cancello per avere accesso al fondo, per domare le fiamme che si avvicinavano pericolosamente alle abitazioni. In questo scenario bellico si delineano le due facce di una stessa medaglia, quella che poi ci definisce nelle nostre più intime peculiarità meridionali. Nel bel mezzo delle fiamme, un residente mi chiama e poi mi si avvicina diretto, ritenendomi probabilmente un funzionario del comune e, indicandomi un imponente pino fortemente danneggiato dalle fiamme, mi dice testualmente: ma allora ‘o putimmo jettà ‘nderra? – Quasi non aspettasse altro per quel povero e vetusto albero.
Poi invece incontro il contraltare dei proprietari di una palazzina prospiciente, che bagnano ad una ad una le loro piante, le siepi e gli alberi del proprio giardino, quasi come se avessero a che fare con un qualcosa di familiare, di intimo.
Riesco, non senza difficoltà, ad entrare nella pineta e col rischio di bruciare le mie scarpe da trekking d’ordinanza, là mi trovo al cospetto del triste scenario. Il sottobosco brucia ancora, così come molti alberi sono ancora fumanti o avvolti dalle fiamme, tra gli aghi di pino carbonizzati emergono tubi e lamiere di eternit, bidoni, più altro materiale non organico e liquefatto dalle fiamme, e anche qui da un lato c’è il vicino con la cannola e dall’altro il pompiere con l’autopompa, la triste metafora di impotenza davanti la tracotanza di chi appicca il fuoco probabilmente per meschini interessi personali.
Vorremmo, a questo punto e per arginare il fenomeno, suggerire, a chi di competenza, qualcosa in più dell’esercito, più volte tirato in ballo dall’amministrazione ercolanese come la risoluzione finale, ma mai realmente attuata. Chi frequenta quella strada come me che l’ho percorsa per almeno 10 anni quasi tutti i giorni, non avrà potuto fare a meno di notare i quintali di spazzatura che la costellavano; quindi, allora come oggi mi chiedevo: ma sono solo io a vedere queste cose? Un vero amministratore dovrebbe conoscere bene il territorio dove svolge le sue mansioni e non piangere poi sul latte versato, dando la colpa alle armate del male o al fato imperscrutabile, se poi a quei rifiuti gli danno fuoco. Il controllo del territorio lo si fa camminando per il paese e non seduti in poltrona.
Del resto le persone ragionano e, se riescono a vedere oltre il loro naso, vedranno sempre l’imperatore nudo, con i suoi banchetti e i suoi lacchè.