Due ville vesuviane “luoghi di delizia”: Villa Carsana dei Medici di Ottajano e Villa Figliola

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Già nella prima metà del ‘700 le ville del “Miglio d’oro” furono “luoghi di delizia”, destinati al riposo dei nobili, ma anche “luoghi di industria”, perché  vi erano organizzati gli “uffici” destinati ad amministrare i beni e le attività di quelle  famiglie. In realtà, lo stesso Palazzo Medici di Ottajano fu disegnato dagli architetti come “luogo di delizia” e “ luogo di industria”. Correda l’articolo l’immagine di Villa Bifulco a Terzigno, a cui dedicheremo un articolo a parte.

 

Dai  Caracciolo di Avellino Giuseppe IV Medici, principe di Ottajano, ereditò la villa di San Giorgio a Cremano che oggi si chiama Villa  Carsana. Egli condivideva con altri membri della sua famiglia due passioni : il teatro e i cavalli. Suo nipote Giuseppe V, l’ultimo principe di  Ottajano, avrebbe vinto il Derby del 1893: lui, l’ultimo Intendente della Provincia di Napoli, aveva uno dei ” tiri ” più belli della città, e nei suoi viaggi in Francia studiava le nuove macchine per fare il vino e le nuove tecniche di allevamento equino. Suo padre Michele non era nelle grazie di Luigi de’ Medici, che tuttavia lo fece nominare Intendente della  Provincia  e lo mise nel consiglio di Amministrazione del  San Carlo: il che gli consentì di stringere amicizia con il Florimo e con Bellini. Giuseppe ospitava abitualmente nella sua villa di San Giorgio ” la compagnia de’ Fiorentini “, come quella sera in cui Bidera vi trovò la Monti, ” incomparabile attrice ” , Luigia Pieri, ” prima attrice del nostro teatro “, Adamo Alberti,  Aliprandi, Suzzi e Prepiani     ” che avanzava della testa tutti come Agamennone la gente achea “. L’ospite d’onore era  Carlotta Marchionni, ” ex prima attrice del Real Teatro di Torino “.Ad est del Vesuvio, da villa Bifulco a Terzigno a Villa Figliola a San Sebastiano, si diffuse il modello della villa che era “di delizia” e, contemporaneamente, masseria: qui erano “ospitati” i cavalli da corsa e venivano raccolti e lavorati, e venduti, i prodotti dell’agricoltura vesuviana. I Bifulco controllavano una quota notevole del mercato dell’uva e del vino e  avevano solidi rapporti di affari con viticultori pugliesi e palermitani.  Una tradizione costante accosta villa Bifulco al nome di Luigi Vanvitelli, a cui si attribuisce, cautamente, anche il progetto di Villa Figliola.  Il sacerdote Antonio Figliola fece ampliare nel 1759 la cappella dedicata ” alla Madonna bizantina ” e la unì al corpo della villa, arredando l’insieme con la generosità consentita da un patrimonio personale di circa 50000 ducati. A cui si aggiungevano le rendite di una masseria ai Galitti: 16 ettari di fertilissimi terreni vulcanici, che erano tutti un odoroso sfavillio di frutteti. L’erede del sacerdote fu Domenico Figliola, cugino e anche cognato, avendo sposato Orsola Figliola,  sorella di Antonio. Domenico, che per molti anni tenne la presidenza della Regia Camera della Sommaria possedeva, di suo, 33 ettari di terra ” arbustati e vitati” nel casale di San Sebastiano, e, a Napoli, una bella casa al vicolo dell’Arcivescovado, in cui c’erano una collezione di più di cento quadri  e un tesoro di oggetti preziosi.  Le due croci di cavaliere di Malta e la cintura per la divisa dell’ Ordine cavalleresco, tutte guarnite di brillanti, valevano da sole 1700 ducati. Nel 1970 i funzionari della Soprintendenza alle Galleria e alle Opere d’Arte della Campania fecero l’inventario delle opere che si trovavano ancora nella cappella: l’altare maggiore in marmi policromi di manifattura napoletana del sec.XVIII ; la tela a olio dell’ altare maggiore, opera di ignoto napoletano di scuola solimenesca, in cui sono rappresentanti la Madonna con Bambino, San Filippo Neri e l’ Angelo Custode; ” San Nicola di Bari ” e ”  San Francesco d’ Assisi “, tele a olio di Luca Giordano ( come si rileva dalla sigla L. G. in basso a sinistra ); ” un Santo “, tela ovale ad olio di ignoto napoletano della prima metà del sec.XVIII; due busti in argento raffiguranti ” Sant’Ignazio e San Giuseppe ” di ignoto artefice meridionale del sec.XVII; un organo in legno dorato e dipinto di manifattura meridionale della fine del sec.XVIII; 12 reliquari in legno argentato di manifattura meridionale del sec.XVIII. Le terre vesuviane hanno ancora molto da svelare e da raccontare.