Cicerone usò in modo magistrale nei suoi discorsi anche l’arma dell’umorismo e dell’ironia

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Cicerone giunge a considerare la funzione del “comico” come essenzialmente difensiva, volta a stornare dalle nostre certezze, logiche e sentimentali,  ogni potenziale minaccia,  a smontarla, e, infine, a riderne: il riso è il segnale di cessato allarme: noi ridiamo perché la minaccia che credevamo, in un primo momento, consistente, si è sgonfiata.L’oratore latino  uguagliò la maestria di Demostene  e di Iperide nell’uso del diasyrmòs, la tecnica della demolizione dell’avversario: era un  piacere particolare quello che essi provavano nel fare a pezzi l’avversario senza lasciargli la possibilità di arrendersi.  Non facevano prigionieri.  Correda l’articolo il quadro di Cesare Maccari “ Cicerone attacca Catilina”.

 

Dopo la disfatta dei Pompeiani a Farsalo, Cesare  vendette all’asta i loro beni.  Servilia,  la madre di Marco Bruto, amante di Cesare, ottenne per quattro soldi una tenuta di grande valore, e Cicerone  la fulminò: “Servilia si è procurata il terreno, con lo sconto della terza parte: tertia deducta”, Ma Terzia si chiamava anche una figlia di Servilia, sposa di C.Cassio, e perciò Cicerone intendeva dire, con un’allusione assai pesante,  che amante di Cesare era stata non solo  Servilia, ma anche la figlia Terzia, che si era accoppiata “deducta” con il vincitore. . La lingua ha una comicità propria, oltre che quella strumentale: si pensi alle parole senza significato, e alle fantasie verbali, costruite in modo tale da capovolgere l’attesa. Rientrano in questo contesto gli errori di stampa e di trascrizione, le parole create per fusione, i termini polisemici, che possono generare il comico soprattutto in una traduzione infelice e distratta, l’omonimia, lo zeugma, e cioè l’accostamento della stessa parola a situazioni diverse. Fonte notevole di comico sono le ambiguità dei nomi propri , le catacresi, le congiunzioni improvvise di situazioni apparentemente analoghe. La Tyteca cita una battuta di Pope su Eugenio di Savoia, che si distinse per le molte prese di tabacco, oltre che di città. In genere sono comici tutti gli errori linguistici, diretti e indiretti. Cicerone non disdegna il comico delle parole, ex ambiguo dicta vel argutissima putantur ( De orat.II, 250), i motti a doppio senso sono ritenuti molto faceti, ma non sempre sono usati per lo scherzo, spesso hanno un tono serio. Nel “De signis, 49”, c’è il gioco di significati sull’aggettivo purus. Eupolemo invita a pranzo Verre, e ben conoscendo la sua passione per l’argento cesellato, ordina di usare il suo più bel servizio, ma di argento puro, cioè non lavorato, per non restare lui stesso purus, cioè spogliato. E più volte Cicerone giocò sul nome Verre, connettendolo a verres, il porco, a verruca, al verbo verro, io spazzo. Sfruttò anche le paronomasie, ricordando che Catone chiamava Marco Fulvio non nobilior ( il nobile), ma mobilior ( il volubile), e giocando spesso sull’affinità di emptio, acquisto, e ereptio, furto. Tizio è un appassionato giocatore di palla, di cui si dice in giro che sia solito rompere le statue sacre. Un giorno che è in ritardo a un appuntamento, Terenzio Vespa lo scusa, dicendo che la causa è la rottura di un braccio. Cicerone cita un calembour che Lucilio attribuisce all’ Africano maior: Che vuoi fare, Decio ? Nuculam an confixum vis facere ? Giuseppe Norcio ( Cicerone, Opere retoriche, I, Utet, Torino, 1970, pp. 382-3) traduce correttamente: Vuoi forse ridurre in poltiglia Nocella ? ma poi confessa in nota: L’espressione è oscura e non sappiamo in che cosa consistesse la facezia. In realtà, la “ nocella “ indica il nocciolo, che veniva tritato e usato in cucina. Perché si sprigioni il comico del linguaggio, è necessario che ci sia un accordo tra oratore e uditorio, e che l’oratore si adatti all’uditorio, soprattutto se egli cerca di produrre effetti comici usando ragionamenti fondati su presunzione, su massime, su omissioni volontarie di taluni passaggi logici Nel minuzioso elenco di tecniche e di argomenti del comico del discorso la Holbrechts- Tyteca ( Il comico del discorso, Feltrinelli, Milano, 1977, p. 89-90)  inserisce l’omissione volontaria di passaggi concettuali indispensabili: in questo caso, il riso scaturisce dall’improvvisa frattura della continuità logico-linguistica.  Esemplare è il colloquio che sarebbe avvenuto tra Nasser, il rais dell’Egitto, e Kossygin, ministro degli esteri dell’Urss. E’ il giugno del 1967. L’Egitto è in guerra con Israele: la guerra dei sei giorni. Israele con un attacco preventivo distrugge l’aviazione nemica: e poche ore dopo, è il 6 giugno,  le sue truppe corazzate circondano, nel Sinai, le divisioni di Nasser,  fanno migliaia di prigionieri, si impadroniscono di enormi quantità di armi, compresi cannoni e carri armati. Per l’Egitto è la disfatta. Ma Nasser non si arrende. Dice all’alleato Kossygin: “ Devi mandarmi al più presto 500 aerei e 1000 carri armati.”. E Kossygin ribatte sarcastico: “ Agli Israeliani serve altro ? “.  In verità, la battuta non è nuova. L’aveva già fatta l’esule Annibale, rispondendo a una domanda di Antioco di Siria, di cui era ospite ( Aulo Gellio 5,5 – Macrobio II, 2, 1 ). Antioco, che si appresta a dichiarare guerra a Roma, allestisce un potente esercito e lo fa sfilare davanti al condottiero cartaginese .  Gli mostra con orgoglio la cavalleria, sfavillante di corazze, di falere e di briglie d’argento, e i carri falcati ornati con lastre di bronzo, gli elmi e gli stendardi luccicanti di oro. Sicuro di sé e dei suoi, chiede ad Annibale: Basterà tutto questo per i Romani ?  E Annibale: credo che basterà, anche se sono insaziabili.  Vien da pensare che la sconfitta di Zama e l’esilio avessero sviluppato in Annibale, anche a livello linguistico, quel genio dell’ironia e dell’umorismo da cui era stato ispirato quando aveva preparato a tavolino, e mirabilmente realizzato sul campo, le trappole del Trasimeno e di Canne. A Zama  perse, perché cercò solo di ripetersi, di copiare Canne. .