Da sempre, chi ci amministra ci alletta con progetti ed azioni presumibilmente definitive e che invece, spesso e volentieri, rimangono nel cassetto dei proverbiali sogni o rimangono a metà strada tra il volere e il fare. Quel che importa è avere le carte a posto e che gli altri ci credano.
Da sempre, amministratori di ogni risma ci illudono con le loro chiacchiere edulcorate e con fatti che mai diverranno tali, fiduciosi nella vana speranza di chi si ostina, coscientemente o meno, nel credere ancora in loro e nella loro ultima e spettacolare trovata; e in effetti non si può fare a meno che restare scettici davanti ai proclami che sindaci, presidente del parco e ministro offrono come regalo di Natale a noi mesti vesuviani, ovvero il “Grande Progetto Vesuvio” vedi e i vari accordi, convenzioni e protocolli d’intesa a supporto di questo e stipulati tra l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio e le partecipate statali, complementari a questo nuovo miracolo vesuviano.
Col “grande progetto” il PNV intende mettere in atto, nel triennio 2018-20, 4 obiettivi specifici ed azioni prioritarie ovvero:
- Realizzazione di un sistema integrato degli accessi e dei percorsi di fruizione;
- salvaguardia e messa in sicurezza del territorio con azioni di prevenzione, protezione e gestione atte a garantire condizioni di sicurezza contro i rischi dipendenti dalla vulnerabilità idrogeologica, sismica e vulcanica, e da incendi, anche e soprattutto a seguito degli eventi del luglio 2017;
- recupero dei siti compromessi da attività estrattive, con particolare riferimento alle aree di cava utilizzate per lo stoccaggio di rifiuti nel corso delle emergenze della Regione Campania;
- Valorizzazione delle risorse forestali ed agrarie e creazione di connessioni ecologiche.
Sarà che da tempo non crediamo più alla Befana e figuriamoci se poi crediamo in Babbo Natale che tra l’altro viene da Roma e con l’accento emiliano ma, il regalo ci sembra solo un pacco ben confezionato e malauguratamente vuoto, là dove, al posto di ben altre cifre e di un’inversione di rotta di un parco allo sbaraglio (ma potremmo estendere il tutto all’intera politica ambientale e ambientalista regionale), c’è il nulla di un nuovo protocollo con una città metropolitana vedi, la stessa che si è dimostrata incapace di gestire le sue maestranze leggi.
Ma, neanche i nuovi re magi della resuscitata SOGESID, altro carrozzone che ha già più volte dimostrato le sue inadempienze per la questione rifiuti leggi, non ci convincono più di tanto con la nuova convenzione che l’ente parco e il ministero ora cacciano fuori, come un coniglio dal cilindro vedi. L’azione epocale non porterà ad altro che a 8 mesi di studi e 450.000€ per i 5 esperti che la stessa partecipata del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) e del Ministero delle Infrastrutture (MIT) sceglierà, e per agire solo su tre sentieri degli undici ufficiali (nella convenzione il parco continua a dimenticarne due oltre i tre che gestisce l’UTB di Caserta). Tali studi porteranno poi ad un progetto esecutivo e alla gara, nella quale la partecipata subappalterà ad altri quelle competenze che non ha, e tutto ciò senza prevedere un’opera definitiva ed incisiva sulla questione del dissesto idrogeologico e dell’antincendio boschivo e soprattutto impiegando, almeno un anno, per svolgere la prima fase della procedura, durante il quale il dissesto idrogeologico farà il suo corso e l’arsura estiva pure.
Nella convenzione la SOGESID dovrebbe occuparsi di tutto, dal recupero dei suoli ai lavori di ingegneria naturalistica, dal ripristino della sentieristica alla progettazione di nuove ed ecosostenibili infrastrutture e il tutto ad opera di una società che, essendo sostanzialmente pubblica, avrà libertà di movimento e soprattutto un curriculum ricco di bonifiche e consulenze milionarie ma dagli alti costi e dagli scarsi risultati. Basti pensare che, perseguendo fini istituzionali, la SOGESID può praticamente acquisire affidamenti senza gara d’appalto e direttamente dagli enti promotori.
Solo al 2013, la società in house ministeriale incassava, nell’arco di meno di 4 anni, 400 milioni di fondi pubblici e 1.600 consulenze al costo di 35 milioni di euro. Una società tutelata dalla politica e considerata una sorta di braccio destro del MATTM e salvata in maniera trasversale dalle epurazioni montiane e questo nonostante le ombre giudiziarie che hanno pesato sulla reputazione di uno dei suoi presidenti. La società vede inoltre aumentare i suoi dipendenti e soprattutto i suoi collaboratori esterni anche in periodi di forti tagli sul personale ministeriale, dimostrandosi per ciò un eccezionale dispensatore di favori ed ovviamente di consenso.
L’ente parco, colui che nel corso degli anni non è stato capace di utilizzare quell’avanzo di bilancio che ora ammonta a circa 8 milioni di euro e che sbandierano come panacea per tutti mali vesuviani, adesso dovrà collaborare al fianco della SOGESID per valutare “le condizioni di rischio, per mettere in sicurezza il territorio. Per riqualificare la rete sentieristica, che collegherà tutti i comuni del Parco e sarà arricchita con porte di accesso e vie di discesa nei comuni vesuviani, percorsi ad anello per il trekking, itinerari in mountain bike e ippovie”. Il parco, colui che ha sempre lamentato la mancanza di uomini e mezzi ora ha uomini, mezzi e soldi per questo nuovo sogno. Speriamo non sia un incubo.
L’impressione che si ha di tutto questo baraccone è che, così come è accaduto in passato su altre questioni leggi, si offra ancora una volta la possibilità alle società in house e simili di gestire le emergenze campane, dirottando i fondi su studi, progettazioni e lavori formali, tali da permettere nuovamente di gestire, ora come in futuro, la remunerativa logica dell’emergenza.