Ieri nessuna intesa dopo 9 ore di discussione al Mise.
Si ricomincia oggi, all’una. Da allora ci saranno solo undici ore a disposizione prima della mezzanotte, momento in cui scoccherà la scadenza della procedura di mobilità. Una manciata di tempo per trattare, accordarsi ed evitare il peggio: 2511 licenziamenti, 845 nella sede del call center Almaviva di Napoli e 1666 in quella di Roma. Succede dopo 75 giorni in cui non si è giunti a un barlume di quadra. Ieri, nel penultimo giorno di trattativa inutile, ci sono state altre nove ore di confronto al ministero dello Sviluppo Economico terminate col solito nulla di fatto, intorno alle 11 della sera. E’ stato un martedì che ha trasformato in un vero e proprio thriller da ultimo minuto questa vertenza drammatica. La giornata di ieri è stata forse riassunta al meglio dalle parole dell’assessore al Lavoro del Comune di Napoli, Enrico Panini. “Riconvocazione domani ore 13 – ha scritto l’assessore alla fine della plenaria nel parlamentino del ministero – segno di posizioni che continuano a rimanere agli antipodi. Si rinvia per non rompere e vedere se si riesce a costruire una ipotesi di uscita. Attenzione, nessun copione già visto: nessun accordo alle viste”. Ieri è corsa voce che il nodo di fondo della giornata sia stato il telecontrollo individuale per fare aumentare la produttività del lavoratore, che è una delle proposte aziendali. “Non si è discusso di questo”, ha però puntualizzato in un post Facebook Francesco De Rienzo, rsu della Slc Cgil nella sede di Napoli di Almaviva. Il problema di fondo sembra dunque proprio quello economico. Principalmente quello. Il governo ha messo a disposizione una cassa integrazione priva degli oneri aziendali per un totale di 30 milioni di euro. “E’ solletico per la situazione di Almaviva – si legge nei commenti web – forse l’azienda si aspettava molto di più”. C’è un bluff dietro tutto questo ? Domanda senza risposta. Almaviva sa benissimo che i sindacati non potranno mai firmare un accordo in deroga al contratto nazionale di lavoro delle telecomunicazioni, un’intesa finalizzata al taglio salariale. Primo perché il contratto è in fase di rinnovo e secondo – ma non è cosa secondaria – perché si darebbe il via a un effetto a catena in tutto il settore e in una fase storica in cui gli italiani attraverso il voto referendario hanno detto di no non soltanto alla proposta di riforma costituzionale ma a tutta la politica finora attuata all’insegna della deregulation liberista. C’è però da dire anche che i tempi della politica ancora una volta non sono coincisi con quelli delle richieste aziendali e sindacali. Il pacchetto di misure difensive del settore italiano dei call center contro la globalizzazione imperante resta infatti ancora sulla carta in Parlamento, dopo una vertenza molto pericolosa che dura da un anno nel suo “step” più drammatico. Oggi sarà davvero dura al Mise. Incrociamo tutti le dita.