Questa è la storia di Alina: donna, lavoratrice, madre e nonna originaria dell’Ucraina costretta a restare lontana dalla sua terra e dalla sua famiglia.
Alina è una donna ucraina di 58 anni che da quattordici vive e lavora ad Ottaviano come badante. Una persona dolce e sensibile con degli occhi azzurri come il mare che però non perdono neppure per un attimo il rossore causato dal pianto continuo e silenzioso per gli avvenimenti che il suo popolo sta subendo. In Italia, Alina è sola, suo figlio Nicola è in Ucraina con la moglie e i due figli (15 e 6 anni), precisamente a Vinnycja, distante da Kiev più o meno 260 km: «Il mio unico figlio ha 36 anni, una vita davanti di cui, però non sappiamo come finirà – racconta la donna – l’esercito russo è a 60 km dalla città dove vive e sappiamo che a breve dovrà prendere un’arma e andare a combattere.» Alina ci spiega che Nicola è già stato contattato da chi di dovere e sa che tra poco sarà obbligato a lottare insieme a tanti altri suoi concittadini per difendere la propria patria lasciando la moglie e i figli soli. La sua famiglia presto dovrà scappare dall’Ucraina perché non è sicuro restare e raggiungeranno Alina qui in Italia anche se non sarà sicuramente facile.
La prima telefonata con il figlio dopo l’invasione russa è avvenuta la mattina all’alba e Alina la ricorda con il terrore negli occhi: «Non ci potevo credere, il mio paese fatto di cultura, bellezza e libertà che si sveglia per il rumore dei bombardamenti russi. Quando Nicola mi ha raccontato cosa stesse succedendo siamo scoppiati a piangere e lo abbiamo fatto per tutto il tempo della chiamata. Gli ho detto di venire subito qui da me ma la situazione è precipitata in pochi giorni e loro non volevano abbandonare il nostro paese. Ora però è l’unica cosa che possono fare.» Alina pensa ai suoi nipoti, agli amici, alla famiglia, a tutti i giovani ucraini che stanno perdendo la vita a causa di una guerra voluta da un solo uomo e non si dà pace, non riesce ancora a comprendere come si possa decidere di puntare un’arma contro un uomo e fare fuoco senza pensarci due volte. Racconta che questa violentissima guerra è stata inaspettata, nemmeno suo figlio credeva potesse accadere sul serio, forse perché la speranza era ancora tanto forte da scacciare via i pensieri più bui. Oggi, però, Nicola sa che l’unica speranza è la sopravvivenza in un modo o nell’altro e la protezione di quel paese che per 36 anni l’ha cullato e protetto. Fortunatamente a Vinnycja, la vita continua a scorrere, seppur lentamente, tanto che Alina riesce ancora ad inviare dei soldi al figlio per il minimo sostentamento, ma tutti sanno che è questione di pochi giorni, forse una settimana, e quella vita verrà scombussolata in un attimo. Lo sanno i giovani studenti che dovranno combattere pur non sapendo come, lo sanno le madri, le famiglie, che saranno costrette a scappare, lo sanno i figli che dovranno salutare il proprio padre senza sapere se lo rivedranno. Si commuove Alina, mostra le foto dei suoi nipoti e non può smettere di piangere. Con voce tremante esprime tutta la frustrazione per essere lontana da suo figlio e per quello che sa che a breve accadrà: «Noi vogliamo solo essere liberi e continuare la nostra vita come abbiamo sempre fatto. Russia e Ucraina sono paesi vicini, siamo sempre stati fratelli. Come può un fratello ammazzare un altro fratello?»
Una domanda piena di tristezza ed incredulità che Alina rivolge più a se stessa che a noi, mentre cala un silenzio così pesante che non si può far altro che abbassare lo sguardo e pensare che no, non si può, non si dovrebbe, eppure sta accadendo proprio ora.
“Non chiedere chi ha vinto: non ha vinto nessuno. Non chiedere chi ha perso: non ha perso nessuno. Non chiedere a cosa ha servito: non ha servito a nulla. Fuorché ad eliminare cinquemila creature fra i diciotto e i trent’anni.”