Claire scopre di avere un tumore incurabile. Questa tragedia privata influenza anche il suo lavoro di magistrato, che la porterà ad affrontare il dramma di coloro che si indebitano nei confronti degli istituti di credito.
Nel 2009, con Welcome, Philippe Lioret aveva raccontato la potenza dei rapporti d’amicizia nel superare le barriere politiche e sociali che gli uomini impongono o sono costretti ad imporre per dare ordine alla vita. In quel caso, la storia di un giovane curdo con il sogno di raggiungere l’Inghilterra a nuoto attraversando la Manica incrociava la vicenda privata di un uomo separato ma ancora innamorato della moglie, che spingeva il giovane a compiere l’impresa. Intorno si aggirava un manipolo di personaggi perplessi e negativi, in una Francia alle prese con le dure leggi sull’immigrazione clandestina.
Tutti i nostri desideri presenta una struttura simile. Claire è un giovane magistrato al lavoro su un caso che vede una madre indebitata lottare contro un istituto di credito dalla condotta non cristallina. Con l’aiuto di un giudice più esperto e cinico, Stéphane, cercherà di combattere le scorrettezze delle società che offrono agli utenti contratti ambigui e prestiti molto onerosi. Ad arricchire il film c’è anche la malattia di Claire: un tumore ne cambia completamente la prospettiva di vita. Tratto dal romanzo Le vite che non sono la mia di Emmanuel Carrère, il film di Loiret – come il precedente – aggiunge un aspetto privato potente (la malattia) al tema delle ingiustizie sociali, questa volta centrato sulle nefandezze compiute dagli istituti di credito.
Uno dei meriti del film risiede nella lucidità con la quale il regista analizza il rapporto tra i due giudici protagonisti. Il lavoro sul caso diventa così un espediente per vedere crescere una relazione che non si esaurisce in una semplice attrazione. Stèphane, per Claire, non è solo un aiuto utile sul lavoro, ma diventa anche una figura necessaria per superare la disperazione della malattia. In questa progressione del rapporto, raffigurato con naturalezza e semplicità, si trova buona parte del fascino discreto del film.
Come in passato, Lioret racconta le persone normali alle prese con eventi straordinari. La malattia incurabile di Claire, lungi dall’essere un mezzo emotivo facile, rappresenta l’imponderabile che sconvolge la vita degli uomini. La consapevolezza della morte la spingerà a sfruttare il poco tempo a disposizione per dedicarsi totalmente al lavoro e alla famiglia.
In modo graduale i due giudici, uniti dalla professione e dal segreto sulla malattia, costruiscono un rapporto che esclude dal film ogni retorica e megalomania. I protagonisti non sono eroi, ma personaggi reali che trovano nella presenza reciproca la forza per raggiungere i propri obiettivi.
Non manca qualche passaggio a vuoto. Alla lunga, l’incrocio narrativo tra la vicenda giudiziaria e quella privata perde fluidità. Il dramma personale di Claire diventa una via di fuga dal grigiore dei tribunali, quasi a scuotere lo spettatore un po’ annoiato. Il tempo a disposizione per approfondire un discorso complesso come quello al centro del caso giudiziario si riduce gradualmente; questo smorza il messaggio finale del film, che non riesce a dare profondità ai temi sociali e politici, nonostante la partenza dell’intreccio fosse stata ottima.
È comprensibile – forse anche perdonabile – che con un materiale narrativo così pesante ed eterogeneo in mano, Lioret abbia perso qualche colpo per strada sacrificando degli aspetti importanti. Tutti i nostri desideri resta un film di rara delicatezza e umanità, cristallino nel modo in cui porta sullo schermo due personaggi alle prese con il male in diverse forme, una naturale, l’altra artificiale, tipica dei nostri giorni.
Voto: 6,5/10
Regia di Philippe Lioret, con Vincent Lindon, Amandine Dewasmes, Marie Gillain, Yannick Renier, Pascale Arbillot
Durata: 120 minuti
Titolo originale: Toutes nos envies
Uscita nelle sale: 11 maggio 2012