Il pittore che si confronta con la Crocifissione, si trova di fronte ad una sfida immane: trasformare luce e ombre in simboli della Vita e della Morte. Di Carmine CimminoQuando si confronta con il tema della Crocifissione, il pittore, grande o mediocre che sia, non può sottrarsi a una sfida affascinante e drammatica: dare una forma e un colore al Corpo di Cristo, e, trattando la luce e le ombre, trasformare queste e quella in simboli della Vita e della Morte. Nel quadro il Cristo Crocifisso è Corpo, e dunque è Uomo, prima ancora che Dio: e perciò è toccato ad alcuni pittori il privilegio di intuire, e di rappresentare, la profondità vertiginosa di quell’attimo assoluto della storia in cui l’Assurdo più assurdo diventa Logica e Realtà: Dio muore.
Lo scrittore e il musicista, grazie alla sequenza e alla durata delle frasi verbali e di quelle musicali, possono passare rapidamente dalla Morte di Cristo alla Sua Resurrezione: ma la pittura non può anticipare ciò che sarà: il suo tempo si coagula nella fissità cristallina del momento immoto. Francisco de Zurbaràn ha 29 anni quando dipinge il primo suo Cristo Crocifisso, oggi conservato all’Art Institute di Chicago: il primo e, secondo gli studiosi di ieri e di oggi, anche il più importante.
(Vedi immagine nei dettagli nel file allegato a fondo articolo)
Zurbaràn rimuove dal quadro gli scorci del paesaggio, i compagni di pena di Gesù, e il pubblico di donne dolenti di spettatori e di curiosi, che riempie le Crocifissioni dei secoli precedenti. Cristo in croce è immerso in una notte neutra, in una solitudine assoluta, senza tempo e senza durata. Cristo muore in croce ab aeterno, prima ancora che Adamo ed Eva aprano la storia dell’uomo. La luce è quella di Caravaggio: viene da un punto che sta fuori del quadro, dalla profondità insondabile dell’Essere, e perciò non c’è traccia della via che essa segue per raggiungere il Corpo del Salvatore e per scolpirne, con vigore realistico, i muscoli.
Il Corpo poggia saldamente sui piedi: l’arco delle gambe, disegnato dal chiaroscuro, esprime ancora un vigore elegante. La tensione degli spasimi ha lasciato il segno solo nelle braccia e, con tratti alquanto scolastici, nell’addome. La forma del Corpo di Cristo risponde al canone della bellezza armoniosa, che Pacheco suggeriva ai giovani pittori spagnoli. E tuttavia l’Ombra ha conquistato metà del Volto, e lo confonde già con la Notte: nell’altra metà non vi è splendore di gloria, ma solo una stanchezza che tende ad apparire definitiva, a configurarsi come assenza. Le membra tornite hanno un livido colore di terra, la cui base è un verde acido e duro: questo verde di morte fa da corpo alle ombre, ed è probabile che sia stato usato per l’imprimitura stessa della tela.
Ci dice, questo verde di terra spenta, che le membra del Dio sono ormai minacciate dal disfacimento, dalla corruzione implacabile della carne. Il pittore sa che la Morte di Cristo rompe il filo della storia, per tessere una trama nuova, ma mentre disegna, egli “sente“ solo confusione e tormento. L’ordine del mondo è sconvolto e scompaginato, si accartoccia su di sé come il panno bianco che copre i fianchi del Signore: Zurbaràn ne descrive le pieghe una per una, e compone le forme, i toni del bianco e i giochi delle ombre con la stessa dolente emozione che sta alla radice di una Passione di Bach.
Quel panno non è solo un brano di virtuosismo tecnico: è il dettaglio che fa da chiave di lettura delle “intenzioni“ del pittore. Egli dipinge Cristo Uomo, e si smarrisce davanti alla Sua Assenza, e in ginocchio davanti al Mistero grida ciò che Cristo ha gridato un attimo prima: Padre, perché mi abbandoni?
Dicono i cataloghi che il Cristo in croce di Delacroix conservato al Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, – un olio su legno di piccole dimensioni-, è un abbozzo. Grazie a Ruskin, a Gadamer e a Baxandall sappiamo che negli abbozzi si esprimono le intenzioni prime dei pittori, specialmente dei pittori romantici, e soprattutto di Delacroix. L’abbozzo di Rotterdam nasce dalla tormentata riflessione che al pittore francese suggerì il Cristo Crocifisso del quadro di Rubens Il colpo di lancia. Nell’opera di Rubens il volto di Cristo è luminoso di gloria e di solennità: il Crocifisso svetta sui soldati e sulle Pie Donne, contro un cielo corrusco che si apre al dilagare di una luce intensissima (Vedi immagine nei dettagli nel file allegato a fondo articolo).
Insomma, il dipinto è una trionfale macchina barocca, in cui Rubens inserisce – è un contrasto di sentimenti e di colori – la nota violazzurra di Maria dolente. Nell’abbozzo di Delacroix Cristo è solo: dietro di Lui si intravedono macchie di cavalli di cavalieri e di bandiere. Una tensione vitale percorre il Suo Corpo vigoroso: la pennellata di Delacroix liquida, corsiva, nervosa, da dato tecnico diventa, come sempre accade ai grandi pittori, forma dell’intenzione. Cristo Morto è vivo, anzi è Vita. Le gambe, che Rubens “schiaccia“ lungo l’asse della Croce, il pittore francese le piega ad angolo: angoli asimmetrici, perché i vertici delle ginocchia non coincidono. L’asimmetria suggerisce alla percezione un intreccio di movimenti, e il colore caldo di rossi e di bruni fa sì che i movimenti percepiti “risultino“ intensi.
Il Corpo di Cristo non si arrende alla Morte, la scuote da Sé, sussulta, reagisce, è come percorso da un fascio di fremiti. Perfino il legno della Croce “vive“ nella forza di colori di terra accesi da punte di vermiglione. Eppure, ha ragione Baudelaire quando dice che in questo abbozzo “c’è tutta intera la profonda tristezza del talento“ di Delacroix. Perché il pittore non vede, e non ci fa vedere, l’espressione del Volto di Cristo, immerso totalmente nell’ombra: che è una macchia informe e corrusca, resa ancora più netta e più significativa dal contrasto con la luminosità del petto e delle braccia.
Cerchiamo gli occhi di Cristo e non li troviamo, non troviamo la bocca, nascosta da una nera pennellata. Davanti al mistero della Morte di Cristo anche Delacroix si smarrisce nel terrore d’essere abbandonato, di restar fuori. Fuori dalla comprensione. Fuori dal perdono e dalla speranza.
(Nell’immagine, il Cristo in croce di Eugène Delacroix)