LUCIAN FREUD. GRANDISSIMO DISEGNATORE E INNOVATORE

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L”artista era portatore dell”idea che il pittore dovesse essere coraggioso, tenero, libero di spirito e pronto a mettere in dubbio tutto. Di Carmine CimminoÈ morto l’artista Lucian Freud. Il pittore nacque a Berlino, l’8 dicembre del 1922, da Ernst Freud, ultimogenito del padre della psicanalisi, e da Lucie Brasch, figlia di un mercante di granaglie. Nel 1933 l’antisemitismo nazista costrinse la famiglia a trasferirsi in Inghilterra. Lucian prese la cittadinanza inglese e nel 1954, alla XXVII Biennale di Venezia, rappresentò, con Francis Bacon e con Ben Nicholson, la Gran Bretagna. Nel 1998 la mostra alla Tate Gallery di Londra lo consacrò come uno dei Maestri del ‘900.

La sua pittura sintetizza con geniale originalità le sperimentazioni formali e tecniche dei grandi “figurativi“ del sec. XX, Otto Dix, Max Beckmann, E.L. Kirchner e Francis Bacon. Di Bacon dipinse, nel ’57, uno straordinario ritratto. Famoso è anche il ritratto della Regina Elisabetta che nel 2001 egli donò alla Collezione Reale. Condivideva con Schad l’idea che il pittore dovesse essere “coraggioso, tenero, libero di spirito e pronto a mettere in dubbio tutto“. Diceva Bacon che anche quando dipingeva una pianta in un vaso e un lavabo in cui scorre acqua da un rubinetto, Freud faceva un ritratto, perché aveva “il genio della psicologia“, la capacità di cogliere, in ogni ambiente, il groviglio di corrispondenze tra gli uomini e le cose, e soprattutto, possedeva la tecnica adatta a rappresentare, con sintetica originalità, questa trama di moti.

Fu un grandissimo disegnatore e introdusse notevoli novità anche nella tecnica della pittura, soprattutto nell’uso combinato di pennello e di spatola. Freud ci lascia numerosi autoritratti. In alcuni di essi si ritrae in situazioni “impudiche“. In questa oltranza c’è, insieme con una punta di ironia e di narcisismo, l’onestà dell’artista che espone prima di tutto sé stesso agli acidi umori del disfacimento del mondo. Sono diventati famosi, soprattutto dopo essere stati acquistati alle aste per milioni di euro, i nudi delle donne enormi: facce tristi innestate su ammassi smisurati di carnaccia violacea, simbolo urtante di una società senza regole e senza misura, oscena, e stanca della sua oscenità.

Anche quando la modella corrisponde ai canoni tradizionali della bellezza, il pennello di Freud incide sul suo corpo il marchio della banalità del bello e della corruzione della carne: egli usa, per le ombre, un azzurro intriso di viola, così slavato che spegne anche i rossi, e nei punti in massima luce, come sul seno sinistro della splendida donna nel Ritratto di donna nuda del 2004, il pittore sfrangia i colori luminosi in viscidi grumi che danno l’impressione di un’ulcera purulenta.

Nel quadro La famiglia Pearce, la cui immagine correda l’articolo, Freud ritrae Rose Boyt, una delle modelle predilette, il marito Mark Pearce e i due figli. Il “ritratto di famiglia“ occupa un posto notevole nella storia della pittura europea, inglese e francese in particolare: Freud conosce perfettamente i modelli e i canoni del genere, ma non c’è un canone che egli non attacchi con la violenza del suo sguardo spietato. Marito e moglie sono immersi nell’azzurro scuro di una gelida indifferenza. Non hanno più nulla da dirsi. Gli occhi di Rose, che è incinta, si smarriscono nel vuoto, il suo volto sfatto nei grumi di materia gialla e rossa è la fotografia di una disillusione disperata, di una stanchezza definitiva.

Ella appoggia il braccio destro sulle spalle del marito, ma è un braccio che non preme; la mano non stringe, non ha forza, e non ha forza nemmeno la mano sinistra, tozza, ruvida: Freud la disegna a bella posta più grossa di quel che dovrebbe essere e l’attacca a un avambraccio che pare sbozzato nel legno. Il vestito a pois bianco – un pezzo straordinario di pittura – svela un corpo pesante, sformato. “Dipingendo gli abiti – diceva Freud – in realtà dipingo persone nude coperte da abiti. È questo che mi piace tanto in Ingres“. Il marito è chiuso nell’ abito azzurro cupo, che è una sola grande macchia: i piani fortemente segnati del suo volto contratto rivelano irritazione, fastidio; la mano sinistra, enorme, rigida, rifiuta il contatto con il corpo di lei; la mano destra, altrettanto smisurata, stringe in modo innaturale la figlia Stella.

Nel ritratto di Stella Freud manda in pezzi, fragorosamente, tutti i canoni del ritratto di bambini: faccia, capelli e mani, soprattutto la mano sinistra, sono appena abbozzati, il bianco della tutina fa risaltare l’approssimazione del disegno e della pennellata, i piedi e le gambe gonfi e informi diventano l’immagine di una crudeltà terribile, perché non manifesta, ma insidiosamente celata nel guscio di sentimenti di cui non è rimasta nemmeno l’ipocrisia penosa dell’ abitudine. Alex, che è figlio di Mark, ma non di Rose, entra nel quadro dall’angolo in basso, come uno che arriva all’ultimo momento, un attimo prima dello scatto della macchina fotografica, e si accovaccia davanti al gruppo.

La faccia inespressiva e piatta dice che la sua funzione è puramente strumentale: chiude l’immagine e le conferisce un’impaginazione asimmetrica, tutta spostata a destra, lungo la linea che congiunge la sua testa, la pieghe nette della veste sotto il ventre di Rose, il vertice basso della scollatura, il mento di Rose contornato da un’ombra forte e densa, lo spigolo della mensola dietro la testa della donna. Marito e figlia sono in un campo secondario. Il quadro è ancora più chiaro se lo leggiamo attraverso le assenze. I toni d’azzurro, i toni del distacco, sono dominanti, tanto che il dipinto pare un monocromo; mancano i toni del vermiglio che accende luci e passioni; la stanza è spoglia.

Mancano gli oggetti: che, scrive Duby, sono la testimonianza tangibile dell’intimità. Richiamo su questo quadro l’attenzione di quel signore che l’altro giorno ha confessato, sul nostro giornale, che tradisce la moglie (VEDI).
(Foto: Quadro di Lucian Freud: “La famiglia Pearce”, del 1998)

L’OFFICINA DEI SENSI