Abbiamo ascoltato il punto di vista del prof. Luongo, Direttore del Dipartimento di Geofisica e Vulcanologia dell’Università di Napoli Federico II e Componente del Consiglio Direttivo del Parco Nazionale del Vesuvio.
Professor Luongo (foto), nella nostra analisi della questione Vesuviana, abbiamo individuato e talvolta incontrato i fautori di diversi progetti che teorizzano e promuovono l’evacuazione più o meno completa dell’area vesuviana. Dai nostri incontri è emerso che il piano d’evacuazione, così com’è, non è sufficiente a garantire la messa in salvo della popolazione o comunque non sembra essere l’unica soluzione di una problematica ormai matura e che va affrontata con una certa serietà. Cosa vuol dirci a riguardo?
«Devo dire la verità, mi meravigliano tutti questi progetti, soprattutto alla luce del fatto che, all’indomani della pubblicazione del primo piano d’evacuazione, nel settembre del 1995, io mi trovai ad essere il primo e unico a criticarlo, mentre tutti lo osannavano».
Lei è dunque contrario al piano d’evacuazione?
«Io sono totalmente contrario al piano realizzato in quel modo. Può darsi che un’evacuazione si debba fare ma in caso di emergenza. Dobbiamo però risolvere alcuni problemi.
Il primo problema è il seguente: su quale base facciamo un’evacuazione? Siamo in grado di prevedere un’eruzione?
Si è detto che l’evacuazione la si poteva prevedere anche un mese prima! Questo non è vero. La comunità scientifica ha prima sostenuto questo per poi rimangiarsi gradualmente tutto. Anche in questo io ero contrario, sono infatti dell’avviso, che in caso di emergenza, va fatta l’evacuazione ma tenendo conto, e dicendolo alla gente, che ci sono delle effettive difficoltà per la previsione dell’evento. Possiamo dire che, sulla base dell’esperienza, si possono fare previsioni solo da qualche ora a qualche giorno prima! È una finestra molto stretta. Per allontanare centinaia di migliaia di persone, con un arco di tempo così stretto, lei può capire, che nessuno è in grado di realizzare un tale obiettivo.
C’è da dire che l’attività endogena del vulcano non sempre produce effetti avvertibili dalla popolazione, talvolta però questo avviene e la mette in allarme, spetta dunque agli esperti interpretare uno scenario che non conduce necessariamente a un’eruzione. Bisogna stare molto attenti poiché questi segnali sono ambigui. E se tu evacui senza eruzione, il danno è comunque enorme, da un punto di vista economico e sociale. È questo un punto molto delicato».
C’è il rischio di creare un falso allarme, un al lupo, al lupo!
«Certo! Se vogliamo invece immaginare uno scenario realistico, secondo me, una volta che istituzioni di ricerca e protezione civile rilevano elementi tali da paventare un’eruzione, si potrebbe incominciare a evacuare soltanto una parte della popolazione. Va allontanata quella parte di popolazione che non rientra nel ciclo produttivo quotidiano. Il che significa che riduciamo sensibilmente le presenze nell’area senza mettere in crisi il sistema.
Un terzo fattore da considerare è poi quello del non allontanare eccessivamente la gente dalla propria area d’origine. Prima di questo però, prima di chiarire dove spostare queste persone si potrebbe vedere chi ha una doppia casa, dove potrebbe trasferirsi con mezzi propri, e questo è anche riscontrabile controllando la TARSU».
Questo in caso di emergenza ma facendo un passo indietro, in questa fase di quiescenza del Vulcano, sarebbe giusto spostare una buona parte della città Vesuviana altrove? Ad esempio nelle province di Avellino e Benevento, come prospettava il Presidente del Parco Nazionale Ugo Leone o nel Casertano come invece hanno pensato il prof. Vajatica e i fautori del Progetto Vesuvio.
«Bisogna passare dalla possibilità alla concretizzazione di questi progetti. In prima istanza non puoi mandare via nessuno. Perché nessuno lo farà!».
Bisogna infatti incentivare, non imporre!
«Ah! Certo! Bisogna incentivare, ma non come ha fatto la Regione col progetto “Vesuvia” che è stato una cavolata! Obiettivo corretto ma strumento sbagliato! Non puoi dare a una persona dei soldi (pochi! ndr.) per mandarla in un contesto ignoto, bisogna pianificare!
La classe dirigente, la Regione deve infatti essere in grado di pianificare, magari nell’arco di trent’anni, non di mandar via, ma di ridurre il turn over della popolazione nell’area vesuviana. Se, dico a caso, a Capua si riesce a creare servizi, vie di comunicazione, incentivare gli attrattori, case a basso costo, ottimi servizi …».
… e lavoro!
«… certo, il lavoro è un problema generale ma l’idea è quella che, se in una famiglia del Vesuviano, uno dei figli riesce a trasferirsi altrove, ad esempio a Capua, avrò una riduzione dell’incremento demografico nella zona. Per quel che riguarda poi le province di Avellino e Benevento, le vedo troppo lontane per considerarle un valido attrattore.
Ci vorrebbero dei progetti modulari, dove, la politica, magari ogni cinque anni possa dimostrare di aver raggiunto taluni risultati. In questo modo il politico potrà presentare a fine mandato il resoconto del suo agire per quel che concerne l’area vesuviana. Riducendo così, nell’arco dei trent’anni, del 50% la popolazione dell’area vesuviana».
Tornando però al piano d’evacuazione, se non erro lei ha partecipato alla sua ultima stesura, che tipo d’eruzione si prevede?
«Io prevedo uno scenario più ottimistico, è difficile prevedere ma è più probabile un’eruzione a bassa energia che una di alta».
Per bassa energia intende del tipo di quella del 1944?
«Di quel tipo, sì, con un indice di esplosività 3, che è il più basso, in un contesto che prevede un tipo basso come appunto quella del “44, un tipo di eruzione intermedia, come quella del 1631(sub-pliniana) e una come quella pliniana del 79. La probabilità più bassa è che avvenga un’eruzione del tipo 79 dopo Cristo, con l’1% di possibilità (sia ben chiaro, siamo nel campo delle probabilità e non delle certezze!), un 25% di probabilità va invece a quella del 1631 e con maggior possibilità quella del 1944. In genere più passa il tempo e più aumenta la possibilità di eruzioni a bassa energia, non è vero, come generalmente si sostiene, il contrario, ma è un sistema molto complesso».
Ancora una domanda, lei come spiega talune incongruenze della “zona rossa”? Le porto ad esempio l’enclave “gialla” di Pomigliano nel comune di Sant’Anastasia e l’Ospedale del Mare a soli 7km dal Cratere.
«La politica non tiene conto degli aspetti tecnici ma tiene conto degli aspetti amministrativi».
Chiamiamoli così!
«In questo non c’entriamo noi, questo riguarda la magistratura. Come pure l’abusivismo, questo non può entrare nella discussione tecnica, è la magistratura che deve intervenire per ripristinare le regole. Ma il grave sa qual è, che nella zona vesuviana c’è tanta roba abusiva dal punto di vista del rischio che è perfettamente regolato dalle scelte dei comuni. Questo è il grosso dramma!».
A San Sebastiano costruiranno una nuova chiesa, in “zona rossa” e in pieno Parco Nazionale. Al di là della necessità di quest’edificio, si getterà ancora altro cemento nella zona rossa …
«Una volta si costruivano gli ospedali per valorizzare certe zone dal punto di vista urbanistico, ora ci si affida alla chiesa!».
(Fonte foto: Rete Internet)
IDEE E INTERVISTE SUL "PROGETTO VESUVIO"