Per la prima volta dal settembre del 1959, dopo esattamente 55 anni, l’Italia è in deflazione. La notizia sta allarmando i mercati e non si riesce ad uscire dalla spirale del declino.
La deflazione è definita come un calo dei prezzi, l’esatto opposto dell’inflazione; detta così potrebbe allora sembrare una buona notizia, ma così non è. Perno dell’economia sono le aspettative, il solo fatto di aspettarsi un evento piuttosto che un altro gioca un ruolo fondamentale nell’evoluzione della realtà ed è proprio questo aspetto psicologico a rendere la deflazione un problema. Se oggi si registra un calo dei prezzi, la reazione più naturale è aspettarsi che i prezzi continuino a calare domani e quindi soprassedere nell’acquisto di beni durevoli o in investimenti importanti: questa la prima tappa della cosiddetta spirale 07deflazionistica chiamata anche “spirale del declino”, poiché ha come effetto inevitabile la paralisi dell’economia.
Di fatti una contrazione del consumo non solo comporta un eccesso di produzione ma determina anche una riduzione degli introiti per le imprese, le quali saranno costrette a ridurre gli investimenti e limitare le nuove assunzioni, nella migliore delle ipotesi, si ritroveranno in esubero nella peggiore; la conseguenza di tutto ciò è un aumento (ulteriore) della disoccupazione.
Le imprese che maggiormente sconterebbero le conseguenze di questa spirale sarebbero quelle che non esportano la propria produzione, poiché se l’economia interna si paralizzasse la totalità della loro offerta sarebbe compromessa. Inoltre il calo dei prezzi ha effetti negativi anche sul rapporto debito PIL, infatti la presenza di inflazione aiuta l’aumento, o contiene la riduzione, del Prodotto Interno Lordo perché quando i prezzi aumentano i fatturati delle imprese crescono, anche se non in maniera reale: ne deriva che la deflazione comporta una riduzione del PIL e un aumento del rapporto con il debito.
Questo lo scenario apocalittico. I dati che l’Istat ci fornisce possono però aiutare a ridimensionare la situazione e comprenderne meglio l’entità e le cause. In diminuzione è l’indice dei prezzi al consumo: -0,1% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Si tratta di un indice su base annua calcolato come la media dei prezzi ponderata rispetto a quelli che sono i beni più “pesanti”, perché più domandati, nel nostro Paese. I beni i cui prezzi registrano un calo sono i beni energetici, alcuni prodotti alimentari e le comunicazioni; quindi è doveroso sottolineare che non si tratta di un calo generale dei prezzi, che a calare è un indice, che i beni energetici avevano registrato un precedente aumento e soprattutto che quasi nessun bene durevole rientra nelle tipologie sopracitate. Bisogna quindi stare ben attenti ad utilizzare la parola “deflazione”.
Nonostante le gravi ripercussioni che questo fenomeno ha sull’economia tutta, resta di fatto che una diminuzione dei prezzi significa poter mettere qualcosa in più nel carrello della spesa, comprare più cose con gli stessi soldi, significa un aumento del potere di acquisto dei consumatori. Per altro la deflazione può influenzare positivamente anche le esportazioni, poiché se prodotti interni diminuiscono di prezzo saranno più attraenti per i mercati esteri. La pericolosità della deflazione quindi non è insita, ma dipende dalle cause e ahinoi questa volta la causa è la recessione.
Di fatti il 2014 e il 1959 hanno in comune unicamente la deflazione: nel 1959 l’Italia viveva il boom economico, gli italiani compravano la 600FIAT e il PIL cresceva ad un ritmo del 7%; oggi il tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo è -0,2 %, il tasso di disoccupazione di luglio è del 12,6% e si registrano 35mila occupati in meno.
La soluzione a questa spirale pericolosa sarebbe mettere in pratica delle riforme che riattivassero l’economia italiana e che la rendessero più appetibile ai capitali esteri. Non ci resta che sperare che le riforme formulate dal Governo, se approvate anche in Parlamento, abbiano effetti positivi sull’economia del Belpaese e siano capaci di condurci fuori da questa spirale del declino.