Sant’Anastasia, libero Raffaele Anastasio elemento di spicco dell’omonimo clan

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Una pena più che mite per Anastasio, difeso dagli avvocati Rosario Arienzo e Giancarlo Nocera. Fu arrestato nel 2011 e poi nel 2016 nel corso dell’operazione Blusky.

«Don Felice» è libero e senza misure cautelari: Raffaele Anastasio, elemento di spicco dell’omonimo clan e nipote di Aniello Anastasio, «o’ zio», storico capo del cartello criminale, è stato scarcerato. Era detenuto a Teramo da maggio 2016 e, dopo una condanna di appello per estorsione mafiosa ad un costruttore poi annullata dalla Cassazione, è tornato libero. Difeso dagli avvocati Rosario Arienzo e Giancarlo Nocera, Raffaele Anastasio finì in carcere nel 2011 dopo una latitanza durata quasi un anno per sfuggire ad un ordine di custodia cautelare per estorsione aggravata da metodo mafioso. Lo acciuffarono a Baronissi, nel parcheggio di un centro commerciale, i carabinieri di Castello di Cisterna, disarmato e con in tasca un documento d’identità contraffatto.  Un secondo ordine d’arresto arrivò nel 2016 con l’operazione Blusky che portò in carcere ventuno affiliati a vario titolo dei clan D’Avino e Anastasio, imperanti sui territori di Sant’Anastasia e Somma Vesuviana. I racconti dei pentiti fecero chiudere il cerchio decimando le cosce dopo incursioni armate e pallottole esplose contro le abitazioni di imprenditori taglieggiati. E ancora, droga, possesso di armi e – per quanto concerne Somma Vesuviana – interessi e commistioni nella tornata amministrativa delle elezioni al comune per l’anno 2013, documentate da intercettazioni ambientali. Le sentenze arrivarono ad agosto dello scorso anno: il tribunale di Napoli, gup Bruno D’Urso, condannò Raffaele Anastasio, detto Felice, a un anno e dieci mesi di reclusione. Il pubblico ministero aveva chiesto per lui la pena di tredici anni e sei mesi. Nell’ordinanza Blusky che documentava in dettaglio le imprese dei clan, è ben sottolineato dai pentiti come «Felice» avesse in mente di «prendersi Somma Vesuviana», territorio molto ricco e dalle piazze di spaccio ben avviate. Nel frattempo stringeva accordi per fronteggiare la presenza del clan Sarno sul «suo» territorio e le estorsioni narrate dai pentiti sono ai danni di titolari di pompe funebri, imprese edili, al cantiere di una scuola e perfino a noti usurai. L’esistenza e l’operatività del clan Anastasio è documentata da sentenze passate in giudicato fino al 2006, dopodiché la situazione muta anche per l’espansione del clan Sarno che inizia la contrapposizione con il clan Panico, cosche disarticolate nel 2007 dagli arresti dell’operazione «Scacco».