Quando Francesco Cirio, venuto dal Piemonte, dichiarò guerra ai pastai di Torre Annunziata.

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Le famiglie storiche dei produttori di pasta tra Torre e Gragnano e il ruolo degli “esperti” prima che le macchine prendessero il sopravvento. La guerra tra i pastai e Francesco Cirio, che, venuto dal Piemonte, cerca dei conquistare il controllo totale di alcuni settori del mercato, soprattutto di quello, fondamentale, dei carri destinati al trasporto della pasta.

 

In una voluminosa cartella d’archivio trovai  la descrizione analitica dell’industria della pasta tra Torre Annunziata e Gragnano nel 1878: un ricco corredo di notizie, di numeri e di nomi, in una grafia perfetta, compiaciuta, inchiostrata secondo le regole, allineata con rigore militaresco sui righi invisibili. Lo scrivano non sbaglia né un cognome, né un nome. Pare che conosca le persone elencate: invece che elencarle, ne vorrebbe raccontare la storia. Il documento costituisce una struttura complessa, a molti livelli: siamo sollecitati a leggere, attraverso i segni visibili in superficie, quelli impressi negli strati invisibili. Le centinaia di persone impiegate nell’industria della pasta tra Torre e Gragnano  non solo fanno statistica, ma suggeriscono anche la forma di un mondo, in cui la “ fabbrica della pasta “ riempie le strade di file interminabili di carri che portano grano e riportano indietro pastine e maccheroni, apre il porto alle navi americane, russe, turche, e l’intero territorio a mercanti e sensali lombardi, veneti, viennesi, moscoviti, e infine rimodella i sensi e la mente degli operai secondo le esigenze del  lavoro, secondo le forme di quell’evoluzionismo sociologico che proprio in quegli anni si cercava di trasformare in dottrina scientifica. Se nell’industria dei profumi i “ nasi “ svolgono un compito fondamentale, in quella della pasta molto dipendeva dagli “ occhi “ e  dal “ tatto “ di chi controllava, ancora con i sensi, la consistenza della semola, la morbidezza dell’impasto, il calibro e la trama della pasta lunga e di quella corta e il grado dell’essiccatura dei maccheroni stesi al sole: ad essiccarli contribuivano – notava un maligno viaggiatore belga, J. Chalon – non soltanto il sole, ma anche la polvere e la sporcizia delle strade.

All’ inizio del 1878 le macchine irruppero nel processo di fabbricazione: lavavano il grano e immettevano acqua nell’impasto della semola  con una regolarità e una esattezza che anche gli operai più esperti non riuscivano a uguagliare. Nell’aprile vennero licenziati un centinaio di addetti, e metà dei facchini del porto non trovavano lavoro. Tra il 29 e il 30 maggio gli operai, i facchini e i loro famigliari – una folla di almeno 5000 persone – misero l’assedio al porto di Torre Annunziata e alle fabbriche di Vincenzo De Falco, Alfonso Cirillo e Lodovico Potestà, che lavoravano la semola, e al pastificio dei fratelli Vitiello, in cui si “ fabbricavano “ maccheroni. Intervenne l’esercito, ci furono feriti, anche tra i soldati, e arresti, e si innescò una crisi sociale di lunga durata. Nel 1878 c’erano, a Torre, 125 fabbriche di pasta con 1875 addetti e 85 mulini che impiegavano circa 600 persone. Alcuni imprenditori, Angelo Cirillo, Michele Iennaco e Giuseppe De Domenico, producevano solo paste corte, e quasi solo per i mercati dell’ Impero Asburgico e del Brasile. A Gragnano i 1720 addetti delle 86 fabbriche di pasta sentirono meno gli effetti della crisi: producevano soprattutto spaghetti e pastine per il mercato interno, e a costi così contenuti che le macchine non sarebbero riuscite a renderli più bassi.  Inoltre in ogni fabbrica lavoravano interi nuclei famigliari, all’interno dei quali si tramandavano ruoli, tecniche e competenze. Alcuni degli imprenditori portavano nomi noti ancora oggi: Carmine Aiello, Raffaele Apuzzo fu Francesco, Antonino Afeltra fu Orazio, Gaetano, Raffaele e Nicola Faella, Aniello, Pasquale e Luigi Nastro; e poi i Coda, i Cuomo, i Cinque, i Martino, i Mosca, i Somma, i Sorvillo, i Vicinanza.

Anche l’industria della pasta e dei maccheroni venne scossa dai piani industriali di Francesco Cirio, venuto dal Piemonte con Andrea Galliano, che fondò a Ottajano una prestigiosa distilleria: attratti l’uno e l’altro dalla ricchezza della produzione alimentare della provincia di Napoli e di Terra di Lavoro, e anche dall’arretratezza delle strategie del mercato e dalla inconsistenza della politica degli investimenti. Certifica lo scrivano che nel 1878 Francesco Cirio è già “ il maggiore negoziante dei prodotti orticoli d’ Italia.” I produttori di pasta ne avvertono la presenza ingombrante soprattutto quando noleggiano carri e bastimenti: i traffici che Cirio muove tra tutte le regioni italiane hanno innalzato, e non di poco, i prezzi.  E tutti sono convinti che anche il prezzo del grano  si è impennato, tra il 1876 e il 1877, per la cospicua massa di capitali che egli ha investito  nel mercato. Nel 1878 Francesco Cirio licenzia il suo commesso Giuseppe Parlati, che con Antonio Cesaro di Torre Annunziata e con imprenditori napoletani aveva costituito una società per la distribuzione in Campania, nel Lazio e in Toscana delle patate e dei cavoli di Terra di Lavoro e dell’agro sarnese. Luigi Cibrario, un fedelissimo di Cirio, avvia  contro la nuova impresa una campagna di diffamazione così violenta che nell’osteria Setaro si sfidano in un duello rusticano il Cesaro, armato di fucile, e il Cibrario, armato di rivoltella. Ma l’oste riesce a impedire che le armi sparino. Francesco Cirio preme sul Prefetto di Napoli perché il Cesaro sia colpito almeno da un’ammonizione giudiziaria, il Prefetto preme su Pasquale Coppola, delegato di Pubblica Sicurezza di Torre, il Coppola non solo resiste alle pressioni, ma spiega al Prefetto che il Cesaro andava in giro armato di fucile solo perché era stato provocato e forse anche minacciato: egli non è un delinquentuccio qualsiasi, egli appartiene a una famiglia “ che ha un ricco patrimonio “. Il punto esclamativo che chiude la trascrizione della lettera – un  segno netto, calcato e ricalcato, un punto che quasi buca il foglio – dimostra ampiamente da che parte sta lo scrivano  della Sottoprefettura.