La “tazzulella” del mattino è un rito solo se il bar conserva l’atmosfera di un antico Caffè…

0
2090
A.Milesi, Signora al Caffè

Lo scrisse Albero Consiglio, riflettendo sul passaggio dai Caffè della “Belle ‘Epoque” ai bar dei nostri tempi. Condivide la riflessione Marino Niola. Ho trovato questa atmosfera in alcuni bar del Vesuviano e, a Palma Campania, nel Bar Romolo. Tra le “vie del gusto” del nostro giornale si troverà lo spazio per raccontare le “vie del caffè”….

“Si cambia più facilmente religione che caffè” (G. Courteline)

Cerco tra le mie carte le notizie sui pinoli delle pinete vesuviane che agli inizi del ‘900  la famiglia Di Prisco di San Giuseppe vendeva a due  Caffè napoletani, il “Targiani” al Museo e “ I Mannesi”, perché in quei locali i pinoli “tostati” facevano parte dell’aperitivo, e trovo, nella stessa cartella, un fascio di documenti sul caffè. Li ho raccolti, negli anni, perché una storia sull’alimentazione  nel Vesuviano e nella Campania Felice deve comprendere, obbligatoriamente, un capitolo sull’argomento. Tra l’altro,  poiché da cosa nasce cosa,  è intenzione del nostro giornale dedicare, nella pagina delle “ Vie del gusto”, un ampio spazio alle “vie del caffè vesuviano”, ai costumi, alle abitudini e alle storie che si intrecciano, lungo la giornata, nei bar del nostro territorio. Ci sono “recite” sfiziose di attori straordinari: e mi riferisco non solo ai clienti, ma ai caffettieri, ai ragazzi e alle ragazze addetti al banco.

Il mio rapporto con il caffè è stato complicato. Incominciai a farne un uso abituale solo quando iniziò la mia attività di insegnante:  non si poteva dire di no al bidello che si presentava, prima dell’inizio delle lezioni e nell’intervallo, “armato” di guantiera e bicchierini. L’assunzione mattutina di caffè divenne subito un rito, che veniva svolto solo con gli amici veri, e negli anni la cerimonia non ha subito modifiche, sono cambiati solo i “santuari” e i confratelli. Ho scoperto poi che molti hanno, come me, l’abitudine di prendere il caffè mattutino  in bar lontani da casa, forse perché non vogliamo aprire la giornata  con incontri tra soliti noti: non vogliamo disturbare e essere disturbati: e, come me, parecchi non sopportano che il primo caffè venga pagato da un conoscente qualsiasi.  E’ divertente, però, osservare la tattica di quei tipi che si piazzano poco lontano da un bar e aspettano che arrivi e che entri nel locale la vittima prescelta, il “pagatore” del giorno: pochi attimi dopo lo seguono, e alla domanda, quasi sempre moscia, “ Prendi il caffè?”, gli rispondono, per pura cortesia, “  l’ho preso già, ma non ti posso dire di no.”.

Mi diverto a sfogliare e a leggere le carte: una “memoria” sulla scarsa attenzione che i pittori napoletani dell’Ottocento hanno dedicato ai Caffè e al caffè – e perciò ho scelto a corredo dell’articolo il capolavoro veneziano di Alessandro Milesi – aforismi e battute di intellettuali e di artisti, un lungo elenco di appunti sul ruolo del caffè nella canzone napoletana, nei film, nei “gialli”,  le lezioni di Eduardo, di Viviani e di Matilde Serao, e, sottolineata con forza, la “sentenza” di  Georges Courteline che “si cambia più facilmente religione che caffè” – e perciò prendere il caffè è un rito, è, lo ha scritto Francesco Battistini,  come recitare una preghiera.

Mi diverto a rileggere ciò che Francesco  Mastriani  scrisse, nel 1857, su una storica figura napoletana, il “caffettiere ambulante”: “…Non crediate che la merce del nostro caffettiere ambulante sia spregevole. Egli non adopera né l’orzo, né le fave, né la liquirizia; tutt’al più allunga il caffè con l’acqua, e ciò per il rispetto che egli ha per la “suscettibilità nervosa” del secolo”, del secolo che considerava il caffè una droga. Nella cartella con i documenti sulla “Belle ‘Epoque” napoletana trovo le notizie sulla “Crema di moka”, il liquore con cui Andrea  Galliano vinse la medaglia d’oro all’ Esposizione Universale di Parigi, e trovo un appunto con la riflessione profonda di Alberto Consiglio sul passaggio dal Caffè al bar: “..la società del caffè, la Belle ‘Epoque, non è stata soppressa e mutata dai cataclismi, dalle guerre, dalle rivoluzioni, dalle alluvioni economiche e sociali. Tutto il guasto, tutta la mutazione è venuta da un cambio di velocità: gli uomini del Caffè andavano a trenta, a cinquanta all’ora, gli uomini del bar vanno a duecento, a cinquecento, a mille all’ora. “. Consiglio l’ha scritto nel 1968; quaranta anni dopo Marino Niola è arrivato alle stesse conclusioni, in un pezzo (la Repubblica, 28/8/2008), che si intitola “ Vite veloci al banco del bar”, e che sottolinea  il ruolo del  banco, destinato a favorire l’avvicendarsi continuo dei clienti.

Un bar che voglia essere importante deve rallentare la velocità di cui parlava Consiglio, e impedire che il banco diventi una “barra”. Ciò riesce anche al Bar Romolo, sulla Circonvallazione di Palma Campania, una strada ricca di bar.  E riesce, il “prodigio”, per l’ampio spazio esterno, che allontana il banco dalla strada, per il gioco dei cristalli, delle lunghe, ordinate sequenze di bottiglie colorate che ricordano i Caffè dei quadri di Manet e di  Renoir  e costruiscono un’atmosfera  di luci calde e di morbida penombra: e poi l’eleganza delle signore sedute ai tavolini, come la signora del quadro, che si sussurrano tutto ciò che è accaduto dall’ultimo incontro e dall’ultima telefonata, e sorseggiano con grazia dalle tazze e dai bicchieri; e poi le ragazze del banco che con loro il vivo sorriso riescono a “cancellare” la “barra”, e, infine, la concentrazione assoluta di Stefano, il “pilota” della macchina del caffè, che conosce e ricorda i gusti dei  clienti, e riesce a preparare una crema che ferma, per lunghi attimi, il tempo, e in cui anch’io,  un dilettante, sono capace di cogliere le note del miele intorno a una nota di agrumi: i segni del caffè perfetto.