Il bacio di intensa passione disegnato da Francesco Hayez ha avuto un successo travolgente. L’artista ha contribuito al nostro Risorgimento.
A Francesco Hayez piaceva dipingere donne nude, o meglio spogliate (secondo Kenneth Clark non è la stessa cosa, in pittura): spogliate a metà, spogliate del tutto. Nell’impasto dei colori per l’incarnato e per le velature egli usava toni vermigli e viola, e segnava i punti di luce più intensa con grumi di gialli e di rosa abbaglianti: insomma, dimostrava di saper andare oltre Ingres, verso Delacroix.
Nel 1830 dipinse, a grandezza naturale, il ritratto della ballerina Carlotta Chabert: nuda, le spalle rivolte allo spettatore con una lieve rotazione a sinistra, appoggiata su un muretto in un giardino, le gambe incrociate, i piedi immersi nell’acqua di una fonte, intenta a guardare verso destra e a giocare con una colomba. I critici notarono che il tronco della donna era troppo lungo, qualcuno fece lo spiritoso commentando che Hayez aveva dato alla Chabert un paio di costole in più, il pittore si difese rispondendo che si era limitato a “rappresentare il vero“: e voleva dire che quel tronco allungato bilanciava la torsione e metteva in risalto il dettaglio più interessante: la lunghezza delle gambe, solide e agili allo stesso tempo.
Hayez sapeva che l’arte riconosce come vere solo le proprie ragioni, ma le ragioni della prudenza e l’ipocrisia bacchettona della critica e dei committenti lo indussero a seguire gli impulsi dell’ispirazione con calma e con giudizio: insomma a non eccedere. Hayez si controllava con tanto rigore che molti dei suoi nudi sembrano, a prima vista, esercizi di accademia: nel ritratto della biblica Ruth lo splendore esplosivo del più bel seno della pittura italiana dell’Ottocento si smorza nello sguardo spento della ragazza, nella fascia bianca che le nasconde la chioma e nel ruvido colore “terra d’ombra“ del mantello – pare una coperta militare- che avvolge Ruth dal bacino in giù.
Il bacio d’amore restò a lungo un soggetto pittorico troppo ardito: in Francia, nonostante il buon esempio di Fragonard, soffrì la censura fino ai baci scandalosi di Courbet; in Italia per tutto il sec. XIX. I pittori affrontavano il tema giustificandosi con dotti riferimenti al mito e alla letteratura: dipingendo, insomma, scene in costume: Ila e la ninfa, Amore e Psiche, Paolo e Francesca, Romeo e Giulietta. Nell’ “Ultimo bacio di Romeo e Giulietta“, che Hayez dipinse nel 1823, i due giovani si sfiorano appena: lui con la sinistra stringe alla vita Giulietta, ma la destra già corre ad aggrapparsi a un pilastrino della finestra da cui, tra poco, Romeo fuggirà: pare che egli non veda l’ora di scappar via: oggi si direbbe che ha paura di perdere il treno, o di non timbrare in tempo il cartellino.
“Il bacio“, dipinto da Hayez nel 1859, e ora custodito nella Pinacoteca di Brera, divenne rapidamente un simbolo del Romanticismo e dei romantici: l’immagine agli inizi del ‘900 ornava le scatole dei cioccolatini di una nota ditta torinese e nel 1954 ispirò a Luchino Visconti una raffinata citazione in una scena di Senso. Anche questo famosissimo bacio si accende in una scena in costume: Stefano Zuffi ha sottolineato “l’improbabilità“ del “ cappelluccio con la penna da alpino e della rossa calzamaglia”. In realtà, il quadro non si ispira né al mito, né alla letteratura: è difficile datare l’abbigliamento dei due innamorati, anche se nel titolo con cui l’opera fu presentata al pubblico c’era un riferimento al sec. XIV.
I costumi, oltre a giustificare la scena, sono funzionali alla resa pittorica dell’intenzione. La falda del cappello di alpino copre la fronte e gli occhi della donna, unisce e confonde i due volti in una zona d’ombra in cui “vediamo“ un bacio di intensa passione: ci inducono a “vederlo“ i meccanismi dell’immaginazione analogica, che il pittore mette in movimento attraverso alcuni dettagli. Il raso cangiante della veste – un brano di tecnica magistrale – l’inarcarsi del busto, la posizione delle dita della mano sinistra sulla spalla di lui suggeriscono l’idea di un corpo che sotto l’impulso dell’emozione si tende verso il volto dell’uomo: le pieghe nette della veste di lei, e il protendersi avvolgente della gamba maschile fasciata di rosso – il colore della passione – accentuano l’impressione del movimento.
La massa scura del mantello impedisce al nostro sguardo di distrarsi dalla veste cangiante, ne rafforza, per contrasto, la luminosità e con i suoi toni di “terra bruciata“ ne riscalda i freddi riflessi grigioazzurri. Anche il muro che fa da sfondo è spoglio perché la nostra attenzione deve concentrarsi tutta sui due: e forse il loro amore è solido e vero come la nuda pietra di quel muro. La fonte di luce, collocata in alto a sinistra, “investe“ la guancia della donna, il dorso della mano e il braccio, e impone a chi guarda un punto di osservazione, diciamo così, dinamico, spinge lo sguardo a “entrare nel quadro“ da una prospettiva laterale. E mi pare giusto. La bellezza è sempre un gioco di prospettive.
Il “bacio“ ebbe un successo travolgente: Giuseppe Rovani, incantato dalla freschezza della pittura di Hayez, che nel 1859 aveva 68 anni, esclamò: “Quest’uomo può far figli a 90 anni”. Il pittore eseguì numerose versioni dell’opera. In quella presentata all’ Esposizione di Parigi del 1867 compare un velo bianco, steso tra i piedi dei due innamorati e gli scalini di destra; inoltre, il lembo sinistro del mantello, che pende sulla gamba in calzamaglia rossa, ha una marcata velatura di “ terra verde “ (foto). Il verde, il rosso e il bianco del velo sono i colori della bandiera italiana; il bianco, il rosso e il blu della veste sono i colori della bandiera francese (i toni del blu si percepiscono soprattutto nelle pieghe immerse nell’ombra, ma la fotografia non riesce del tutto a coglierne la presenza).
Hayez contribuì al nostro Risorgimento: non con strepiti e clamori, che non si addicevano né al suo carattere, né alla sua età, già tarda, ma con lo straordinario ritratto “ psicologico “ di Manzoni, eseguito nel 1841, e con quello di Cavour, eseguito nel 1864, sulla base della maschera mortuaria in gesso. Dal quadro Cavour sorride: il sorriso postumo è appena accennato dall’angolo destro della bocca e dal grosso labbro inferiore, che è una netta striscia di vermiglione. Forse è ironia, forse è sarcasmo. Pare, al di là delle intenzioni del pittore, un commento dall’aldilà sull’Italia che i successori di Cavour stavano costruendo.