LA GUERRA PER L’AUTONOMIA. CERCOLA CONTRO MASSA

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La battaglia per “l”indi-
pendenza” delle frazioni. 1861: Cercola contro Massa, la pianura contro la montagna. Il destino della società vesuviana.
Di Carmine Cimmino

Un personaggio di cui abbiamo già parlato, Gaetano Martinez, comandante distrettuale della Guardia Nazionale, il 10 marzo 1861 fu costretto a precipitarsi a Massa di Somma, ove si stava sviluppando “un movimento di folla” contro Domenico Ricciardi, sindaco della città, ma nato e residente a Cercola, che di Massa era frazione. Martinez si trovò in mezzo a un subbuglio. Una folla di uomini e donne “bastantemente armata di mazze” cercava di raggiungere ad ogni costo, pressando e gridando, il sindaco, a fatica protetto dalle guardie nazionali di Massa, guidate dal capitano Piromallo.

Nel bailamme Martinez riuscì a capire che la folla accusava il Ricciardi di tramare in favore dell”autonomia di Cercola, “e di immiserire ancora di più” il capoluogo. Martinez sulle prime si vestì d”autorità e a muso duro “diede addosso a un chiassatore, Ciro Mellone”, sperando che gli altri si calmassero. Ma poichè non si calmarono, Martinez si ritirò precipitosamente: intanto da Cercola arrivavano le carrozzelle con le guardie nazionali della frazione, pronte a difendere il “loro” sindaco.

Il nuovo ordinamento politico ravvivò in tutto il territorio la guerra per l”autonomia che da tempo frazioni o “quartieri” importanti combattevano contro i capoluoghi per diventare comuni autonomi: Flocco contro Boscoreale, San Giuseppe contro Ottajano, Cercola contro Massa. E restava ancora da risolvere la spinosa questione dei confini tra Somma e Sant”Anastasia. All”origine di questa guerra c”erano il passato e il presente di un campanilismo esasperato; e c”era la contesa tra gruppi e consorterie per il controllo del potere politico locale e delle strutture economiche del territorio. La questione dell”autonomia di Cercola venne affrontata dal Consiglio Provinciale nella seduta del 19 Settembre 1865: il Presidente era Paolo Emilio Imbriani, Giuseppe Lazzaro era il segretario, e nei banchi dei consiglieri sedevano, tra gli altri, Francesco Avellino, il marchese Michele Avitabile, il marchese Rodolfo D” Afflitto, e Luigi Frojo.

Luigi Frojo, attraverso l”Istituto di Incoraggiamento e poi attraverso la Scuola di Portici, disegnò, per l”enologia vesuviana, una strategia di sviluppo che sarebbe ancora valida e funzionale, se a qualcuno interessasse veramente il destino dei vini del Somma-Vesuvio (la prossima edizione di Vesuvinum ci darà l”opportunità di affrontare la questione). Con grande lucidità Luigi Frojo osservò che questo “movimento” per l”autonomia era fatalmente imposto dalle ragioni della geografia e dell”economia: se a monte si produce, a valle si produce e si commercia; a valle si costruiscono case, strade e ferrovie.

Nel 1865, nel centro abitato di Massa vivevano 700 persone, a Cercola 1100: a Cercola era concentrata tutta l”attività economica del Comune. Il vino prodotto nelle zone “alpestri” veniva lavorato e venduto a Cercola, negli “stabilimenti” di Andrea Barone, Vincenzo D”Ambrosio e Giuseppe Montella, e una famiglia di sensali cercolesi, i Fiore, controllava il mercato delle pesche e delle albicocche prodotte negli orti di collina, tra Massa e San Sebastiano. Era a tal punto strategica la posizione di Cercola, che tra il 1865 e il 1880 vi immigrarono, da Barra, da Ponticelli, da Portici, da Sant” Anastasia, imprenditori importanti: i De Luca Bosso, che con i Ricciardi erano interessati agli appalti dei lavori pubblici: ponti, strade, ferrovie; i Paparo; i Montella e i Di Siena, che costruivano botti e fusti.

Botti costruiva a Cercola, nel 1876, un Ciro Mellone, omonimo del “chiassatore” che nel “61 aveva suscitato l”ira di Martinez. E non si può escludere che fosse la stessa persona. Il Domenico Ricciardi, che il Mellone chiassatore aveva cercato di portare sotto i colpi del suo bastone, nel 1888 era sindaco di Cercola, diventata intanto Comune autonomo.

In quella seduta del settembre del “65 Luigi Frojo invitò i presenti a considerare che le trasformazioni in atto del modello industriale e il disegno della rete ferroviaria spostavano in pianura, inesorabilmente, la linea di sviluppo dell”economia; e che questa tendenza risultava necessaria, di una necessità ferrea, nel territorio vesuviano interno, dove c”era spazio solo per gli investimenti nella lavorazione dei prodotti agricoli e nell”artigianato. La minaccia costante delle eruzioni e un sistema di vie montane “d”ordinario impraticabili” sconsigliavano la costruzione di “stabilimenti” dotati di apparati di macchine complesse e costose. A ovest, i porti di Torre e di Castellammare e la ferrovia Napoli-Portici-Salerno compensavano, in parte, la minaccia dell”incombente vulcano.

Le osservazioni di Frojo vennero puntualmente confermate dai fatti. Nel 1880 il comune più industrializzato del territorio vesuviano è, dopo Torre Annunziata, San Giovanni a Teduccio: ma più della metà degli operai lavora nei 15 pastifici a vapore, che per essere all”avanguardia – e lo sono, soprattutto quelli dei Savino -, non hanno bisogno di impianti troppo sofisticati. Inoltre, i pastifici, i dieci mulini (importanti quelli di Giuseppe Tartarone, di Ferdinando Savino, e dei fratelli Petriccione), lo stabilimento metallurgico Corradini -Mathieu e l”officina meccanica dei fratelli Davide sono dislocati lungo la strada del Porto, in una zona sostanzialmente riparata.

A San Giorgio a Cremano dava lavoro a più di 50 persone una “manifattura” che usava ancora sabbie vulcaniche, l””Antica Fabbrica di lastre, campane e bottiglie” di Giuseppe Bruno: vi si producevano “lastre semplici, doppie, rigate, colorate, opache, curvate, mussoline”, che gli ultimi Borbone avevano premiato con una sfilza di medaglie e di diplomi.

Luigi Frojo propose di accorpare in un solo Comune i “comuni contermini” di Pollena Trocchia San Sebastiano Massa di Somma e Cercola con l”aggiunta di una parte di Ponticelli “lungo la strada che dal Ponte della Cercola va alla Casina Petrone”. Sapeva che la sua proposta “urtava suscettività e permalosità”, ma riteneva che fosse necessario, “una volta tanto”, badare “all”interesse della massa, di cui tutti parlano, ma a cui nessuno veramente pensa.”. Un secolo e mezzo fa Luigi Frojo sollevava una questione di capitale importanza.
Qual è oggi lo stato delle cose? qual è il destino dei comuni vesuviani, dei comuni che fanno parte del Parco Nazionale del Vesuvio?
(Fonte foto: sit.provincia.napoli.it)

LA STORIA MAGRA