“Il giovane favoloso”: Leopardi secondo Mario Martone

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Il Leopardi disegnato dal regista pare la “figura” simbolica di quel pessimismo straniante e tormentoso che domina l’800 e il 900. Ma alla fine il protagonista del film corrisponde al personaggio storico, grazie anche all’interpretazione di Elio Germano.

“Il giovane favoloso” di Mario Martone non si può certo dire che sia un film senza meriti. Giacomo Leopardi, impersonato da Elio Germano, è un bambino prodigio che cresce sotto lo sguardo implacabile del padre, il quale vuole destinare i suoi tre figli ad uno “studio matto e disperatissimo” nella casa-biblioteca in cui vivono, privandoli di ogni contatto con il mondo esterno. La mente di Giacomo spazia ovunque, ma la casa è una prigione: legge tutto ciò di cui dispone, ma l’universo è fuori. In Europa il mondo cambia, scoppiano le rivoluzioni e Giacomo cerca disperatamente contatti con l’esterno. Cresce sotto lo sguardo vigile del padre, accanto alla sorella e al fratello, ma lontano dall’affetto della madre che appare come perfetta incarnazione di quella “natura maligna” con cui il poeta duellò per tutta la vita.

Finalmente ,a 24 anni, dopo aver intrattenuto una fitta corrispondenza con vari intellettuali contemporanei, Leopardi lascia Recanati. L’alta società fiorentina gli apre le porte di un mondo ricco di salotti buoni e di cervelli indubbiamente meno buoni, e gli regala l’amicizia di Antonio Ranieri, impersonato, nel film, da Michele Riondino, al quale il poeta deve contendere, senza successo, l’amore della bella Fanny Targioni Tozzetti. Successivamente, dopo una breve sosta a Roma, Giacomo giunge a Napoli, città che viene raffigurata – in una suggestione lirica che è di Martone e che Martone presta al suo personaggio- attraverso immagini di un’efficacia straordinaria, in una sequenza forse troppo lunga, ma illuminata da continue e colte citazioni della pittura dell’Ottocento. Alle pendici del Vesuvio, dopo un’eruzione, si conclude la vita di Leopardi, il quale, in una città dilaniata dal colera, lancia il suo ultimo grido di disperazione con “La ginestra”, una delle poesie più alte della nostra letteratura, vero e proprio testamento di un intelletto profondissimo, e di una storia spirituale di altezza vertiginosa.

ll film scorre bene grazie ad una serie di fattori non trascurabili: il taglio fotografico delle scene (però ancora molto lontano dalla perfezione che ha raggiunto Wes Anderson), le musiche di Rossini alternate alla musica elettronica del tedesco Sasha Ring, la prova di Elio Germano. Proprio l’interpretazione magistrale di Elio Germano è uno dei punti forti del film. Egli si dimostra un attore molto versatile, capace di passare in un attimo dalla maschera di falsi sorrisi di circostanza e di ipocrisie più o meno velate alla lettura intensa, emozionante, di alcuni canti leopardiani. Martone è stato capace di ricreare il complicato ambiente in cui Leopardi è cresciuto, e di rappresentare la vita del genio nella prospettiva del “quotidiano”. Il personaggio è, nel suo desiderio d’amore, molto simile all’ “Amadeus” di Milos Forman, con in più una nota di insistita ambiguità. Bisogna sottolineare il fatto che “Il giovane favoloso” può essere “letto” in due modi: o come una disordinata e timida biografia, in cui talvolta la fantasia fa violenza alla storia, oppure come la parabola di un genio disadattato, che vive fino in fondo, consapevolmente, la sua disperata solitudine per trasformarla in pensiero e in poesia purissimi.

In questo Leopardi pare che ci sia l’animo del regista: entrambi si sentono “stranieri” ai luoghi e agli ambienti in cui sono costretti a vivere. Certamente il pensiero filosofico di Leopardi non è posto in primo piano, l’analisi della sua ideologia non è sistematica, ma non erano questi gli obiettivi del regista. Leopardi viene presentato, oserei dire, come un Pasolini prima di Pasolini, come uno smagato profeta dei dilemmi che affliggeranno l’uomo del Novecento, e, soprattutto, come un “caro amico” di Martone. Ma il Leopardi di Martone è pur sempre il Leopardi della storia: lo riconosciamo in uno dei suoi scritti più drammatici: ” Io era oltremodo annoiato della vita, sull’orlo della vasca del mio giardino, e guardando l’acqua e curvandomici sopra con un certo fremito, pensavo: s’io mi gittassi qui dentro, immediatamente venuto a galla, mi arrampicherei sopra quest’orlo, e sforzandomi di uscir fuori dopo aver temuto assai di perdere questa vita, ritornato illeso, proverei qualche istante di contento per essermi salvato, e di affetto a questa vita che ora tanto disprezzo, e che allora mi parrebbe più pregevole”.

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