IL CULTO VESUVIANO DELLA MADONNA DEL CARMINE

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La Madonna è al centro della religiosità vesuviana. Questa centralità nasce dal passato remoto, e si è consolidata durante le eruzioni del Vesuvio e nelle vicende dell”aspra battaglia che la Chiesa ha combattuto, nelle nostre terre…

Durante e dopo il Concilio Vaticano II, alcuni teologi osservarono che la religione cristiana ora si configura come religione del Padre, quando cioè sottolinea la centralità del rigore morale e sollecita il cristiano alla battaglia quotidiana contro il peccato; ora, invece, manifestandosi come religione della Madre, offre la rassicurante protezione della Vergine a chi è angosciato dalla pena di vivere, e dalla paura della morte e dal terrore dell”aldilà. La storia della religiosità delle terre vesuviane parte dagli antichi culti delle Madri, e si sviluppa attraverso i misteri della Venere pompeiana, di Demetra, di Iside, di Mitra, di Dioniso.

Mitra e Dioniso sono divinità maschili, ma alcuni elementi, il sangue rituale, il travestimento, il battesimo, il menadismo, rimandano ai riti femminili della fecondità. Il sangue, e le preghiere e i pianti delle “parenti” dimostrano con chiarezza quanto forte sia, perfino nel culto di San Gennaro, la presenza di ancestrali memorie, filtrate, purgate, omologate, della devozione alla Madre. La Madonna, con i suoi titoli e con i suoi carismi, è al centro della religiosità vesuviana: la Madonna del Carmine, la Madonna dell”Arco, la “Mamma Schiavona”, la Madonna della Neve, l”Immacolata. Questa centralità nasce dal passato remoto, e si è consolidata, e potenziata, durante le eruzioni del Vesuvio e nelle vicende dell”aspra battaglia che la Chiesa ha combattuto, nelle nostre terre, contro la cultura della magia, delle fatture e degli incantesimi.

I luoghi di questa cultura furono l”Atrio del Cavallo (lo è ancora?), e i dintorni delle paludi di Volla, della Longola, tra Poggiomarino e Sarno, di Cimitile e di Scafati. In questo territorio del sortilegio i santuari mariani di Madonna dell” Arco e di Pompei occupano, non a caso, posizioni strategiche.

Il culto della Madonna del Carmelo arrivò in Europa dall”Oriente. I Carmelitani giunsero a Napoli a metà del sec.XII e acquistarono, sulla Marina, un ospizio per pescatori e una chiesetta, che intitolarono a Santa Maria la Bruna del Monte Carmelo. Il 16 luglio 1251 la Vergine si manifestò a Simone Stock, generale dell”Ordine, e gli consegnò lo scapolare, segno del patto che Lei stringeva con i suoi fedeli, e della promessa che chiunque indossasse “l”abitino” fino al giorno del trapasso, si sarebbe salvato dai pericoli della vita, e dopo la morte, dal fuoco dell”Inferno.

Da quell”apparizione il 16 luglio divenne il giorno sacro alla Madonna del Carmelo. E tutti i vesuviani gridarono al miracolo osservando che “la conflagrazione vesuviana” del Vesuvio del 1660 cessò proprio il 16 luglio: “se ne deve far festa eternamente in detta giornata”, scrisse nel registro degli atti il notaio segretario del Comune di Ottajano, “per la grazia ricevuta dal nostro Signore per mezzo della Sua Madre Santissima del Carmine”. Scrive un cronista, testimone dell”eruzione, che dal vulcano non venne fuori la lava, ma solo cenere: una cenere bianchissima, “come fosse fioritura di sal comune, che quasi sempre più o meno copiosamente si trova in essa, e ai raggi del sole fiorisce alla sua superficie”; ma Palmieri pensò che vi fosse la leucite, che egli aveva trovato, con l”aiuto del microscopio, nella cenere bianca dell”eruzione del 1872.

Nel 1322 Giovanni XXII aveva definito, con una bolla, il privilegio “sabatino”: i fedeli di Maria del Carmelo sarebbero usciti dalle fiamme del Purgatorio, per entrare in Paradiso, il sabato successivo al giorno della loro morte. Invocata a protezione delle anime “purganti” e di tutti coloro che in vita “tengono la morte “ncoppa “a noce d””o cuollo”, la Madonna Bruna ispirò una devozione che andava oltre i confini della fede, e toccava il cuore anche di chi non credeva. La venerarono tutti coloro che esponevano la vita ai rischi estremi dei viaggi per mare, della guerra, dei lavori pericolosi. A Lei si affidarono i carcerati: già nel “600 tutti i detenuti della Vicaria, la terribile prigione dei Tribunali di Napoli, dovevano fare l”offerta, ” “a camorra, per l”olio della Madonna”, per l”olio che alimentava la lampada perennemente accesa davanti all”immagine di Maria del Carmelo. I camorristi la elessero a loro Patrona: lo raccontano gli storici, e lo confermano i documenti d”archivio.

Norman Lewis, che fu capo dei servizi segreti dell”esercito britannico durante la II guerra mondiale (e che ha scritto un meraviglioso libro su Napoli, “Napoli “44”), osservò che in una città stremata dalla fame e dalla miseria, in cui si rubava di tutto, le navi dal porto e i mozziconi di candela dagli altari, nessuna mano sacrilega osò toccare i beni della Chiesa del Carmine a piazza Mercato. Ciccio Cappuccio, detto “o signorino, fu, dopo Salvatore De Crescenzo, l”ultimo carismatico capo della camorra napoletana dell”Ottocento. Anche il padre era camorrista. Quando fu ospite del carcere di San Francesco, dispose che nella sua camerata ogni sera si recitasse il rosario, e che il mercoledì, giorno sacro alla Madonna del Carmine, non si mangiasse carne.

Il brigante Antonio Cozzolino Pilone indossava “l”abitino”, e “abitini” regalava ai suoi seguaci e alle sue ammiratrici, vantandosi di averli ricevuti direttamente dalle mani di Pio IX, il papa che il 26 marzo 1860 “sotto l”anello del Pescatore” “scomunicò e anatematizzò” i Savoia e tutti coloro che partecipavano alla costruzione del Regno d”Italia.

Nel 1694 la processione ottajanese della Madonna del Carmine consolidò il suo carattere penitenziale, che resiste ancora oggi: e resiste bene, nonostante gli attacchi, forse volontari, forse involontari, di chi ignora le tradizioni e non ha rispetto per i valori dell”identità civica. Nell”aprile di quell”anno la Madonna, implorata dagli Ottajanesi, aveva di nuovo ammansito il Vesuvio eruttante. Fu un”eruzione particolare, quella del 1694: il fascino dei torrenti di fuoco che scendevano tra Pollena e San Sebastiano attirò per la prima volta una massa di turisti .

Erano tanti i “curiosi” che arrivavano da ogni angolo della regione, che dei cervelli fini di Barra e di Sant”Anastasia “piantarono frasca” sui pagliai e sulle capanne prossimi allo spettacolo della lava: insomma li trasformarono in improvvisate osterie, in cui i “curiosi” potevano comprare vino, pane, cibi cotti, dolci, sorbetti, e anche la compagnia e i favori di certe signore che un cronista, testimone dei fatti, chiamò elegantemente “donne di mondo”.

L” “impresa” venne quasi subito interrotta, bruscamente, dalla furia non del vulcano, ma dei Padri Alcantarini che accorsero da Portici a scagliare l”anatema contro i traffici della lussuria. La storia delle eruzioni sorprende per la sua varietà, come il carattere dei vesuviani.
(Fonte foto: Rete Internet)

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